
A volte ho l’impressione di portare uno zaino sulle spalle. Uno zaino con la mia storia. Anzi forse tutti portiamo uno zaino sulle spalle con dentro la nostra storia. È uno zaino che pesa e nel quale sono finite dentro cose che potremmo fare a meno di portare con noi. Cianfrusaglie di ricordi, biglietti di vecchi concerti. E poi quelle due o tre cose essenziali che non vorremmo mai dimenticare.
Come tutti gli zaini pesa ma, dopo un po’ non lo senti più. Torna a pesare quando qualcosa ti costringe a rovistarci dentro. Quello è un momento di svolta. Rovistando dentro infatti possiamo scegliere se continuare a tenere quel ricordo nello zaino o lasciarlo andare. Che non vuol dire dimenticare. Vuol dire piuttosto non coltivare le emozioni e le tensioni che quel ricordo attiva. Vuol dire prendere atto che ne è passata di acqua sotto i ponti e che, nel frattempo siamo cambiati. Forse vuol dire misurare la distanza tra allora e adesso. La nostra mente è associativa e quindi pesca vecchi ricordi, vecchie storie, un po come un jukebox. E, per un attimo, quel disco torna a suonare di nuovo. Le stesse tensioni nel corpo e nella mente. Che possiamo scegliere di lasciar andare.
Possiamo farlo portando un’attenzione sensoriale, non narrativa, che segua il flusso di continuo cambiamento della nostra percezione. Se rimaniamo in questa flessibilità del corpo, in questo continuo mutare delle percezioni, smettiamo di rinforzare la catena di associazioni attraverso i pensieri.
Possiamo così scegliere cosa mettere nello zaino, scoprire che più lo zaino è leggero e più noi siamo leggeri. Che più lasciamo scorrere e più siamo aperti a quella fresca novità del momento presente che ci aspetta, più siamo nel presente. Senza troppi pesi che ci aggrappano al passato.
Non è il passato che è un problema: lo è il modo con cui ci aggrappiamo, lo ripetiamo, lo rigurgitiamo, principalmente per dare a noi stessi un senso di consistenza e identità. Roger Housden
Pratica di mindfulness: [fblivevideoembed id=”1″] oppure Be water
© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale
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