
Abbiamo appena passato il giorno del nido. Sia che l’abbiamo fatto in famiglia, che con amici, da soli o in compagnia, abbiamo fatto i conti con quanto ci sentiamo amati e l’abbiamo misurato nella metrica dell’appartenenza.
Avere qualcuno con cui passare il Natale è la metrica dell’appartenenza: misurare la natura del nido è la metrica dell’amare e dell’essere amati.
Poi è vero, riempiamo il nido di tante altre cose: cibo, regali, biglietti, messaggi, telefonate ma tutti questi sono accessori a quell’enorme, primordiale desiderio di appartenenza, di terra, di nido, di caldo, di famiglia, vera o acquisita.
Celebriamo il nido per il senso di sicurezza che la vicinanza ci concede, per il conforto e la protezione. È un giorno in cui gli assenti mancano di più e i presenti contano di più. Il suo effetto si spalma nei giorni successivi ma dopo riprendiamo il lento cammino nel mondo. Riprendiamo distanza, autonomia, riprendiamo la vita consueta e anziché nel nido spesso ci troviamo fuori dal nido: caduti o volutamente allontanati.
L’anno però ha un centro che va al di là di ogni altra misurazione: quanto appartengo e quanti mi appartengono. Di quale mondo mi sento parte e quanto è grande, almeno per un giorno, la nostra voglia di stare insieme. Di essere gruppo anziché singoli.
In fondo tutte le feste sono così: memoria del giorno del nido, memoria delle nostre metriche di amore e appartenenza.
L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé…Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi. Giorgio Gaber
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro
© Nicoletta Cinotti 2017 Un percorso terapeutico verso l’accettazione radicale
Foto di © <NERVO> Luca
Lascia un commento