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La misura dell’appartenenza

14/11/2022 by nicoletta cinotti 3 commenti

In fondo a ciascuno di noi non credo ci sia una paura più grande dell’esclusione. Sentire di non appartenere, di non avere dimora, significava – ai tempi primitivi – essere esposti, essere a rischio della stessa vita.

Oggi riecheggia un dolore e una paura altrettanto profonda. Se qualcuno ci esclude abbiamo subito bisogno di appartenere a qualcosa di diverso. Ma appartenere.

Appartenere non significa essere posseduti: significa essere riconosciuti e compresi da qualcuno. Riconoscersi e comprendere un gruppo di persone o una singola persona.

Così, quando qualcuno si sente riconosciuto, sente che ho visto il suo bisogno di appartenere, accade, ogni volta un piccolo miracolo. Sento il diaframma che si abbassa, un’aria di sollievo che si allarga e nessuno vorrebbe più andarsene via da lì. Da quelle due poltrone una di fronte all’altra. Ma, soprattutto dal luogo dell’appartenenza. Né io, né l’altro. Perchè appartenere è sempre reciproco, a differenza di possedere che, invece, è esclusivo.

Quell’appartenenza mi sembra che restituisca il senso di tutto il mio lavoro. E il suo scopo.

E lascia un meraviglioso sentimento di libertà.

Ecco perché amo la pratica di Metta: perché afferma che, per quanto si possa essere stranieri e lontani apparteniamo ad un comune destino e desideriamo la stessa cosa. Ecco perché amo il Reparenting: perché non voglio lasciare tutto lo spazio al critico interiore, quella parte di noi che ci fa credere che, per appartenere, sia necessario essere perfetti. la perfezione non è la misura dell’appartenenza. è l’impronta della persecuzione.

Possa tu ascoltare il tuo desiderio di libertà. Possano i confini del tuo appartenere essere sufficientemente generosi per i tuoi sogni. Possa tu svegliarti ogni giorno con una voce benevola che sussurra nel tuo cuore. Possa tu trovare armonia tra anima e vita.

Possa il santuario della tua anima non essere mai infestato. Possa tu conoscere l’eterno desiderio che vive nel cuore del tempo. Possa esserci gentilezza nel tuo sguardo quando ti guardi dentro. Possa tu non creare barriere tra la luce e te stesso. Possa tu permettere alla bellezza selvaggia del mondo invisibile di raccoglierti, prendersi cura di te ed abbracciarti nell’appartenere.

John O Donohue

Pratica di mindfulness: La pratica di metta e il critico interiore

 

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Marina Petruzzi dice

    12/11/2015 alle 12:18

    Questo post mi è risuonato così vero che mi sono venute le lacrime agli occhi. Ha messo in parole ciò che sento dentro da tanto tempo ma che la mia mente tentava di negare, o sopprimere. Solo una cosa…. che cosa è la pratica di Metta?

  2. nicoletta cinotti dice

    13/11/2015 alle 07:21

    La pratica di Metta, o gentilezza amorevole, è la meditazione che era indicata come pratica del giorno. Proviene dalla tradizione buddista, ed è una delle pratiche più belle e complesse, nella sua semplicità, perché ci chiede di allargare il cerchio dell’amore che include, a tutti.

  3. markspir dice

    28/12/2015 alle 14:56

    Parole Sante condivido a pieno. Io ho trovato il riconoscimento nel Miracolo del Natale, nel miracolo dell’Angelo Custode e dei suoi consigli che soprattutto passano attraverso la mindfullness e gli esercizi. Attraverso la respirazione , la consapevolezza avviene lentamente il riconoscimento di noi stessi a noi stessi.

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