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Protocollo MBCT

Ci sono tanti tipi di solitudine ( e tanti modi di stare insieme)

30/03/2021 by nicoletta cinotti

Ho passato un fine settimana in famiglia, nella mia famiglia d’origine. Porte aperte, persone che vanno e che vengono, un paese piccolo dove, fino a non molto tempo fa, la chiave rimaneva sempre sulla porta di casa. Fuori ovviamente, così era più comodo entrare e uscire. Un paese come tanti di un’Italia in cui bastava che si sapesse il nome dei tuoi genitori perché qualcuno dicesse “ti conosco”. Ho fatto due passi insieme a mio marito e tutti ci salutavano. Io non riconoscevo nessuno ma salutavo lo stesso molto contenta. A Camogli, dove vivo da molti anni, se saluti sei strana, stranissima, quindi evito. Al massimo faccio un cenno con la testa un po’ equivoco, come se dovessi scacciare una mosca così, se non mi vogliono salutare, non sbaglio. Forse penseranno che ho un tic! Comunque salutare mi piace moltissimo per cui mi sentivo veramente in vacanza.

Tutto questo preambolo per dire una cosa semplice semplice: ci si può sentire soli anche quando si è in compagnia e me ne sono accorta quando, parlando con mia mamma, non sono riuscita ad avere nemmeno un pezzetto di intimità. Lei è troppo occupata a nascondermi quello che non va per non farmi preoccupare e così mi parla d’altro con una conversazione che assume toni assurdi. Non succede solo con lei ma con lei è più acuto il dispiacere. Ci sono tante persone con le quali la conversazione sembra fatta apposta per evitare di dirsi le cose importanti, quelle che dovremmo dirci. Allora, dopo un po’, non ho più voglia di parlare. Quando sono più le cose che si evitano di dire che quelle vere che si dicono l’intimità diventa un colabrodo e affiora solo un senso di solitudine senza motivo. La solitudine scelta, quella delle mie camminate mi è preziosa. La solitudine colabrodo no, mi fa solo tristezza.

Poi l’ho accompagnata a letto. Mia madre intendo (oggi scrivo a colabrodo ma è voluto) e l’ho abbracciata forte. Le ho dato un abbraccio lungo e forte come quelli che avrei voluto ricevere da lei quando ero bambina e avevo paura del buio e di una serie piuttosto lunga di cose improbabili e surreali. Un abbraccio silenzioso che ha detto più di mille parole sul tempo, i vicini di casa, la badante, la pandemia, il telegiornale, i nipoti, i figli e chi più ne ha più ne metta. In quell’abbraccio non ho abbracciato solo lei. Ho abbracciato anche me e mi sono detta che perdersi è inevitabile, che forse l’ho già persa e che non posso trattenerla. Mi scivola tra le dita come la sabbia della sua memoria perduta. Che forse l’unico modo per ritrovarsi è accettare che sia così. Mi sono detta che la solitudine che brucia di più è quella che proviamo quando siamo insieme. Di quella che provo quando sono da sola non ho più paura.

Ha una sua solitudine lo spazio,
Solitudine il mare
E solitudine la morte – eppure
Tutte queste son folla
In confronto a quel punto più profondo,
Segretezza polare,
Che è un’anima al cospetto di se stessa:
Infinità finita. Emily Dickinson

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2021. Senti, domani c’è la serata di presentazione del protocollo MBSR e MBCT. Se vuoi essere presente per saperne di più iscriviti su zoom!

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Stai composta

29/03/2021 by nicoletta cinotti

Ogni tanto, da bambina, venivo portata dalla sarta che mi confezionava un vestito nuovo. Veniva indossato per qualche festa, come la Pasqua e l’anno dopo o due anni dopo diventava un vestito da tutti i giorni. Non ero molto interessata alla faccenda che richiedeva delle prove e, soprattutto, della cura una volta che, terminato il vestito, l’avessi indossato. Ero una bambina ruspante che preferiva giocare all’aperto e l’idea di avere un vestito che mi richiedeva di stare composta non era per niente allettante.

Qualche anno dopo questo rito finì. Arrivarono i jeans e i vestiti già confezionati anche per i bambini e la storia sembrava chiusa lì. Non ricordo nessuno dei vestiti comprati già fatti ma ricordo uno per uno quelli che mi confezionò la sarta. Ricordo i discorsi che faceva con mia mamma sulla scelta dei bottoni e delle passamanerie e ricordo lo sguardo soddisfatto con cui ammiravano l’abito confezionato.

Ecco la pratica di mindfulness è un po’ così, come la scelta se andare a comprare un vestito già fatto o uno di sartoria. Possiamo trovare molte meditazioni online già fatte. Nel mio Canale Youtube ce ne sono molte. In quelle meditazioni io ti offro il mio vestito confezionato con la mia stoffa e fatto su misura per me. Con la partecipazione ad un protocollo mindfulness invece impari a confezionarti il tuo vestito, la tua meditazione, come se andassi in sartoria. Ti sarà possibile comprendere come funziona e perché funziona la meditazione.  Certamente ti verrà richiesto di “stare composto” e ti verrà offerto sostegno perché tu possa farlo. Avrai delle prove – otto prove per dirla tutta – ma poi, alla fine guarderemo insieme con soddisfazione all’abito che avremo confezionato insieme e sarà un abito fatto su misura per te perché, anche se saremo in gruppo, avrai modo di chiedere una risposta personale alle tue domande sulla pratica durante ognuno degli incontri. Alla fine rimarrai a far parte di una community e avrai il materiale sempre a tua disposizione. Perchè la mindfulness è una pratica che cambia la vita e dura una vita.

Ama le domande, non cercare le risposte ma vivi le tue domande. Citando liberamente Rainer Maria Rilke

Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro

Le iscrizioni a prezzo ridotto per il Protocollo MBSR e per il Protocollo MBCT scadono il 31 Marzo. Scrivimi per partecipare a prezzo ridotto nicoletta.cinotti@gmail.com

© Nicoletta Cinotti 2021

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L’eco di un altro sentire

28/03/2021 by nicoletta cinotti

Si è conclusa proprio oggi la settimana di pratica gratuita, “La compagnia della fioritura”. Per una settimana ci siamo ritrovati la mattina alle 8, insieme a Louise Glück e alle poesie dell’Iris selvatico e abbiamo approfittato delle sue parole per iniziare la nostra pratica di meditazione attorno ad un tema diverso ogni giorno.

Perché dedicare una poesia – che è frutto di parole – ad una pratica, come quella di mindfulness, che si nutre di silenzio? La ragione è semplice e ricca insieme. Lo faccio perché la poesia è l’eco di un altro sentire che evoca, risveglia, richiama, il nostro sentire e, in questo modo, ci riporta alla nostra vastità. Le difese ci limitano per proteggerci, la vastità ci consente di riprendere a crescere, un po’ come succede alle piante in un bosco che si allungano verso la luce.

Non diamo abbastanza valore al fatto che le difese ci rinchiudono in una ripetizione, paghiamo così il prezzo per la nostra ricerca di sicurezza. Nella mindfulness chiamiamo questa ripetizione pilota automatico che è una modalità priva di consapevolezza, una modalità mindlessness anzichè mindfulness. Ci permette di sentirci sicuri perchè ci illude di sapere già che cosa è necessario fare. Ma è, per l’appunto, una illusione.

L’unica certezza è l’incertezza

Lo scorso anno, a marzo ho iniziato un lungo periodo di pratica gratuita durato quanto il lockdown. Mi rendo conto ora che nutrivo una segreta speranza: la speranza che sarebbe finito. Nel passare dei mesi mi sono accorta quanto la fine sia ignota, per questa pandemia come per molte altre cose della nostra vita. La cosa più certa che possiamo dire è che la nostra vita è piena di momenti di incertezza e quell’incertezza, quella vulnerabilità, ci commuove e ci trasforma.

Non c’è solo pericolo nella vulnerabilità: c’è potenzialità, apertura, disponibilità a “disfarci” come dice Louise parlando a nome di un papavero.

Vi concedeste di aprirvi una volta, per non aprirvi mai più? Perchè in verità ora sto parlando come fate voi. Parlo perché sono disfatto. Louise Glück

Dopo questa pratica, “Non sapere è la più grande intimità”, così mi ha scritto una persona, che ringrazio per la chiarezza delle sue parole

“Davanti alla semplicità delle immagini, i pensieri ripetitivi e le emozioni represse si sono arrese. I campi di papaveri dell’Andalusia sono già sul punto di fiorire, soltanto qualche fiore qua è là è ancora chiuso. Chi sa cosa aspettano. Ognuno di questi fiori ogni anno non sa, tutte le volte sembrano la prima volta. Si chiede se il suo rosso sarà bello come quello degli altri, e quali sguardi e parole lo accoglieranno. Teme di sminuire la bellezza dell’intero campo, non è ancora il momento per lui, non è pronto. E se poi non piace neanche al sole, se poi non vorrà riscaldarlo? Il papavero si chiude ancora di più, nel silenzio e oscurità del suo interno, li dove ancora tutto è possibile. Proprio lì una parola si fa spazio, UNICA.Una voce famigliare che viene da lontano, le sussurra che in mezzo a quel campo, lei sarà unica e uguale a tutti gli altri. E che lei va bene così.”

Abbiamo paura di fiorire

Sembra strano ma dentro di noi risiede una paura sottile e persistente: è la paura di fiorire perché, in quel momento, si scoprirà, scopriremo se siamo abbastanza. La grandiosità delle nostre aspettative si arricchisce di competizione e non ci fa accontentare della nostra fioritura, che è, ovviamente, unica. Ci fa entrare nel paragone con altri fiori e altre fioriture. Realizziamo così un grande paradosso: tratteniamo la crescita, le scelte, procrastiniamo di vivere nell’attesa che sia il momento giusto per farlo. Non c’è un momento giusto: c’è questo momento. Non è vero che i treni passano una sola volta. Non so chi l’ha detto per prima ma è una menzogna che alimenta vagonate di rimpianto. C’è sempre un treno che possiamo prendere e una destinazione che possiamo scegliere. L’unica vera differenza è se nel farlo siamo presenti – mindfulness significa piena presenza mentale – o assenti – mindlessness, senza presenza mentale.

Non aspettare la prossima primavera per fiorire. Non aspettare che finisca il Covid per scegliere, L’unica vera certezza è che la nostra vita è incerta e, per questo, unica e preziosa.

Buona fioritura

Nicoletta Cinotti

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Perdersi e ritrovarsi

26/03/2021 by nicoletta cinotti

C’è stato qualche momento, in un passato nemmeno tanto lontano, in cui ho avuto la sensazione di essermi persa. La sensazione che non mi era più tanto chiara la direzione che stavo prendendo e nemmeno più tanto chiara la ragione per cui avevo scelto di andare in quella direzione. Quando ero una bambina mio zio mi portava con sé nei boschi delle sue esplorazioni montanare. Mi aveva insegnato che, andando nel bosco, se ti perdi la cosa migliore da fare è rimanere fermi, non cercare di ritrovare la strada perché questo confonde chi ti sta cercando.

Credo che sia lo stesso anche nella vita. Quando ci sentiamo persi spesso entriamo in un’iper-attività convinti che così ritroveremo la strada e, invece, ci perdiamo sempre di più. Quei momenti, i momenti in cui mi sono persa sono stati, a guardarli oggi, delle vere e proprie rinascite. Mi sono fermata, come diceva mio zio e non mi sono mossa fino a che ho avuto chiaro che, dall’interno, prendeva forma una direzione e che quella direzione mi assomigliava. Ho lasciato andare i miei progetti grandiosi e sono ripartita dal punto in cui nascono tutte le cose: dal basso, dall’umido, dalla terra.

Anche oggi mi capita, ogni tanto, di sentirmi persa. Festeggio quei momenti perché ho imparato che sono i momenti in cui torno a cercare la mia vera direzione. I momenti in cui mi sento persa sono le occasioni in cui mi ritrovo e non posso che esserne grata.

Può darsi che proprio quando non sappiamo più cosa fare
siamo arrivati alla nostra vera opera,
e che quando non sappiamo più dove andare
siamo arrivati al nostro vero viaggio.
La mente non perplessa non si adopera.
Il torrente ostacolato è quello che canta. Wendell Berry (Traduzione di Paolo Severini)

Pratica di mindfulness: Lasciar andare

© Nicoletta Cinotti Serata di presentazione dei protocolli MBSR, mercoledì 31 Marzo alle 20

 

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L’urgenza e la nascita senza violenza

18/03/2021 by nicoletta cinotti

Qualche decina di anni fa un ginecologo molto originale di nome Frédérick Leboyer iniziò a parlare della nascita senza violenza, ossia del far nascere bambini senza medicalizzare inutilmente il parto. Segnò una rivoluzione e oggi molte delle sue indicazioni sono entrate nella prassi degli ospedali per una nascita più naturale. Il tema della nascita naturale non si ferma però in sala parto. Abbiamo spesso un atteggiamento eccessivamente interventista rispetto alle cose che ancora non sono e che vorremmo che fossero. Decidiamo che è il momento di fiorire o che è il momento di dimagrire o che è il momento di cambiare senza davvero prestare attenzione alla necessità di avere un atteggiamento rispettoso nei confronti della naturalità della crescita e dell’autoregolazione del corpo.

Siamo convinti che spingere sia un must. Qualcosa che dobbiamo assolutamente fare perché, se non spingiamo, le cose non succedono. In realtà non è proprio così. Se prendiamo la nascita come metafora, la fase che la precede è il travaglio che, simbolicamente è l’elaborazione interiore della separazione da uno stato precedente ad un nuovo stato. Il travaglio richiede un processo di apertura, quello che poi permette la nascita. Tra travaglio e fase espulsiva spesso c’è un periodo di quiete, quella che Leboyer chiamava poeticamente, “la fase degli addii”, quando mamma e bambino si salutano perché non vivranno mai più quella condizione. È un saluto intimo che merita attesa e che spesso è interrotto dalla medicalizzazione.

Anche psicologicamente il processo procede nello stesso modo. C’è una fase di travaglio che, come dice il nome, può essere anche dolorosa. Serve ad aprire le prospettive per alcuni è rapida e per altri è lunga: non c’è una regola fissa ma gli errori per eccesso di intervento avvengono molto spesso in questa fase. O in quella successiva, nella quiete che precede il cambiamento. Se abbiamo interferito con il processo naturale è possibile che l’effetto sia una specie di labirinto in cui non si capisce più bene come e cosa fare e come muoversi. Se ci siamo spinti troppo avanti con una dieta rigida non è strano che una parte di noi si ribelli e svuoti il frigorifero. A quel punto la soluzione non è una dieta ancora più rigida ma dare al corpo la cura perché ritorni alla sua auto – regolazione accettando che il nostro peso non può essere stabilito dalla moda ma ci appartiene per ragioni psico-fisiche. Questo è solo un esempio naturalmente.

Il punto è che, ad un certo momento, sentiamo l’urgenza di nascere, di non procrastinare, di esprimerci. In quel punto lasciar essere è fondamentale. Non arriveremo forse al risultato atteso ma arriveremo a molto di più: arriveremo a noi stessi e la nostra espressività avrà la nostra misura esatta. E la misura esatta è l’infinito.

Lasciatelo stare. Lasciatelo fare. Lasciategli il tempo.
Il sole si alza forse di colpo?
Tra il giorno e la notte non indugia forse l’alba incerta e la lenta, maestosa gloria dell’aurora?
Lasciate alla nascita la sua lentezza e la sua gravità. “Per una nascita senza violenza” di Frédérick Leboyer

Pratica di mindfulness: Be water

© Nicoletta Cinotti 2021 Il protocollo MBCT

 

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Ansia, coraggio e intenzione

05/03/2021 by nicoletta cinotti

Durante i protocolli, e non solo, accade abbastanza spesso che le persone ad un certo punto mi rivelino, con un po’ di imbarazzo, che non riescono ad essere fedeli alla pratica. Oppure che mi confessino che fanno cose che sanno benissimo che sono dannose per la loro salute o per la loro vita. Ovviamente tutto questo è confidato con un tono di rimprovero e di auto-svalutazione. A volte questa diventa la ragione per cui alcune persone arrivano alla conclusione di non essere adatte alla pratica di Mindfulness. Raramente però mi parlano della vera ragione per cui evitano la pratica o evitano cose che le fanno stare bene. Perché non siamo abituati a dare nome all’ansia. Siamo più abituati ad identificarci con i comportamenti di evitamento che stanno dietro all’ansia. Ad usarli come attacchi contro di noi, a rimproverarci senza compassione né comprensione. Più abituati alla critica che a dire, semplicemente, la verità. E la verità è sempre semplice, soprattutto quando è nuda e cruda: abbiamo paura.

Paura di cambiare, paura di uscire dalla nostra comfort zone, paura di guardare dentro, una paura simile alla paura del buio che avevamo da bambini.

Tranquilli, non stiamo evitando di praticare perché siamo cattivi soggetti, resistenti a qualsiasi forma di cura. Evitiamo di praticare perché abbiamo paura e più siamo a disagio, più abbiamo paura di fermarci e guardare cosa succede. Siamo organizzati per sopravvivere prima ancora che per essere felici. Quando c’è un rivolo di paura evitiamo, scappiamo e ci confortiamo con i nostri soliti mezzi impropri. Basta riconoscerlo perché la paura svanisca. Pema Chödrön dice spesso che ci vuole coraggio per sedersi su un cuscino e guardare le cose così come sono. Per questo definisce il sentiero della meditazione il sentiero dei “senza paura”. Che non significa non avere paura. Significa non lasciarsi dominare da questo sentimento. Anche perché più scappiamo e più scapperemo. Più scappiamo e più avremo paura.

Molti anni fa tornavo da scuola a piedi facendo un sentiero nel bosco. Non era un sentiero molto frequentato. Ad un certo punto iniziò a seguirmi un cane. Io mi misi a correre, spaventata. E lui iniziò a corrermi dietro abbaiando. Era un cane piccolo ma anch’io ero piccola. Dopo qualche centinaia di metri di corsa mi resi conto che non riuscivo a tenere la distanza, che era sempre più vicino. E feci la cosa più assurda del mondo. Mi girai e iniziai a corrergli incontro urlando. A dire la verità facevamo entrambi un gran baccano perché lui abbaiava e io urlavo (meno male che eravamo in un bosco). E lì successe una cosa che non dimenticherò mai. Una delle migliori lezioni della mia vita, nata non si sa da quale intuizione. Il cane si spaventò (almeno credo), invertì la corsa e iniziò a scappare tornando indietro. Per un breve tratto fui io ad inseguire il cane. Non ho mai riso così di gusto. Oggi, tutte le volte che ho paura – e non è un sentimento raro – mi ricordo di quel volpino e faccio la stessa cosa. Corro incontro alla mia paura e non ho ancora trovato sistema migliore per ridimensionarla. Metto una mano sul cuore e la guardo. Tanto ho capito che dalla paura non si può scappare. Non è qualcosa che è fuori. è qualcosa che è dentro.

Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo.Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.

Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fosse fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia. Haruki Murakami

Pratica di mindfulness. La meditazione del fiume

© Nicoletta Cinotti 2021 Un cuore coraggioso

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/un-cuore-coraggioso-ritiro-di-bioenergetica-e-self-compassion/

 

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