
All’esame di maturità presi 3 di tema. Mi salvò la prova di matematica dove presi 10. Il Presidente della Commissione d’esame – un’insegnante di Lettere molto stimata in città anche per il suo impegno politico – mi predisse le 7 calamità naturali per quello che riguardava la mia scrittura. Arrivai all’Università ben contenta che gli esami fossero orali. Scrivere la prima tesi di laurea fu difficile. Poi decisi di prendere un’altra laurea e anche la seconda tesi fu difficile: mi salvai perché era una tesi di ricerca e i numeri a me piacciono. Soprattutto le metriche e le statistiche.
Iniziai ad aver bisogno di scrivere per lavoro. Era una sofferenza ogni volta. Lo facevo ma non potevo dimenticare le 7 calamità predette dal presidente della commissione di maturità. Te le dico perché potrebbero venir utili: vai fuori tema, sei esagerata, usi frase fatte, non hai una struttura, inizi male, finisci peggio, usi parole difficili. Come ottava calamità aveva detto “Leggerti mi ha fatto venire i vermi”. Confesso che delle parole difficili non mi sono ancora liberata: mi piacciono abbastanza per via del suono.
Poi, ad un certo punto iniziai a scrivere per amore: per amore della pratica. Per gratitudine verso tutto quello che ogni giorno fioriva dentro di me e fuori di me. Continuavo ad avere tutte e sette le calamità naturali (qualche volta avevo anche i vermi mentre scrivevo che sarebbe stata l’ottava calamità!). Però ero certa che non fosse importante perché quelle parole erano un regalo. E ai regali non si contesta mai nulla. Piano piano le parole non erano più sassi appuntiti ma diventavano fluide come acqua. A volte dolci come miele.
Ho capito che quello che mi rendeva difficile scrivere erano gli errori. Scrivere è incontrare di continuo i nostri errori. Ti si palesano davanti perché scrivere è come tornare a casa: ti incontri. E vedi, con onestà, le cose come stanno. E se non sei onesta la scrittura lo rivela subito, diventa subito una nota stonata. Magari cerchi di nasconderti e allora la scrittura diventa roboante o contorta. Cerchi di dargli struttura ma invece a volte le parole girano nell’aria come fiocchi di neve e bisogna lasciarle così: parole singole in movimento.
ieri abbiamo fatto la pratica gratuita di meditazione e scrittura e alcune persone, dopo, mi hanno inviato quella che hanno scritto. È stato davvero un regalo, anche se non risponderò personalmente a tutti. Sono uscite parole vive, che splendevano. Che si mostravano – “piene di errori” sintattici, avrebbe detto la professoressa della maturità – eppure splendevano nella loro unicità insegnando, nei fatti, che quando ti mostri incontri i tuoi errori e li rendi luminosi. Scrivere è incontrare di continuo i nostri errori e amarli: meno male che è così.
Dedicate: prima e dopo aver scritto, siate sicuri che sia dedicato. Questo è vero per tutto, non solo per la scrittura. Dedico ogni cosa che faccio. Ogni singolo atto di dedica trasforma la mia pratica di scrittura. Gail Sher
© Nicoletta Cinotti 2022 Scrivere storie di guarigione
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