
Ci sono momenti in cui il nostro cuore è sereno e calmo come un lago di montagna e altri in cui sembra un ribollire di acque scure e misteriose.
Quell’inquietudine cerca una consolazione e una rinnovata serenità. Così iniziamo a scavare nella mente e a guardare alla logica dei fatti scoprendo che un pensiero tira l’altro e nessuno porta alla pace. Quando siamo inquieti abbiamo bisogno di dare nome all’inquietudine e per farlo non possiamo passare dalla mente: abbiamo bisogno di tornare alle parole del corpo. Forse potremmo proprio disegnare i passaggi necessari per placare le acque scure del cuore.
Il primo passo è ascoltare cosa dice il corpo. Dove si muove la tensione e come si esprime. Potremo chiamare questo passo “Tornare a casa” perchè dà una dimora alla nostra inquietudine.
Il secondo passo è riconoscere se ci sono emozioni che nascono dalle sensazioni fisiche e dargli nome. Se non sappiamo trovare nome alle nostre emozioni proviamo a nominarne mentalmente qualcuna – paura, tenerezza, rabbia, ansia, commozione e così via – perché se nominiamo l’emozione che ci corrisponde ci accorgeremo che il cuore si calma. Se proprio non troviamo l’emozione diamo un titolo a come ci sentiamo, come farebbe il regista di un film. Spesso il titolo mette insieme più informazioni di quelle di cui siamo consapevoli. Potremmo chiamare questo passo “Dare nome”
Il terzo passo sarebbe il più ovvio e invece lo dimentichiamo: confortiamo. Non ha importanza se abbiamo torto o ragione. Se è assurdo o comprensibile: se siamo inquieti abbiamo bisogno di confortarci. Solo quando saremo tornati alla calma il senso delle cose può emergere. Pretendere di capire cosa sta succedendo senza calmare prima l’inquietudine è come pretendere di abbassare le onde tagliandole a fette: una missione impossibile. Confortiamoci con il mezzo più antico che c’è: la nostra voce. Ripetiamo mentalmente parole di conforto: ognuno di noi ha la propria formula magica. La mia è “I pensieri non sono fatti”. Potremmo chiamare questo passo “Cullare il cuore” ma se ci sembra troppo romantico chiamalo “Amicizia”. È quello che gli amici fanno per noi: ci calmano e ci confortano. È quello che abbiamo bisogno di re-imparare: essere amici di se stessi.
E poi lasciamo che le acque del cuore tornino chiare rimanendo fermi: le azioni che scegliamo sotto la spinta dell’agitazione complicano la vita. Quando le acque saranno tornate chiare saremo ancora in tempo a scegliere e faremo quello di cui abbiamo davvero bisogno.
Accettazione significa riconoscere cosa sta succedendo e permettere che le cose si svelino per come sono, senza combattere la realtà.
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect: verso un’accettazione radicale
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