
La storia viva di una persona è registrata nel corpo, ma la storia cosciente lo è nelle parole. Se manca la memoria delle esperienze mancano anche le parole per descriverle. Chi possiede la memoria la traduce in parole, espresse tra sé e sé, pronunciate o scritte. In ogni caso la memoria, una volta tradotta in parole, assume una realtà oggettiva, specialmente se le parole vengono espresse.
Nel corso della terapia si scoprono e si rivelano molte esperienze dimenticate che sono parti nascoste del sé. Rivivere l’esperienza a livello corporeo la rende convincente in modo irraggiungibile per altre vie. Ma il fatto di parlarne a un altro dà all’esperienza una realtà che solo le parole possono fornire.
Questo senso di realtà aderisce alla parte del sé o del corpo che è coinvolta nell’esperienza, promuovendone l’integrazione nella personalità. L’affettività e il vissuto sono importanti, perché senza di essi le parole sono vuote. Ma il vissuto da solo non basta. Occorre parlare ripetutamente dell’esperienza per sondarne tutte le sfumature di significato e per farla divenire oggettivamente reale nella coscienza.
Se si fa questo non è necessario rivivere più volte la stessa esperienza per farne un efficace agente di cambiamento. In questo caso le parole evocano i sentimenti e diventano sostituti adeguati dell’azione. Sono talmente convinto dell’importanza della parola nel processo terapeutico che dedico circa metà del tempo a parlare con i pazienti. A volte intere sedute sono spese a discutere il comportamento e gli atteggiamenti del soggetto e a ricercarne la connessione con le esperienze passate. Inoltre il lavoro sul corpo è sempre accompagnato da qualche parola. A volte tuttavia sento che la discussione diventa ripetitiva e non porta da nessuna parte. Quando ciò accade passiamo agli esercizi, che devono fornire le esperienze di cui stiamo parlando.
Poiché le parole sono depositarie dell’esperienza, servono anche a plasmare e a dar forma alle esperienze future. Quando una madre dice alla figlia: “Gli uomini sono egoisti. Non ti fidare di loro”, non solo comunica la propria personale esperienza, ma inoltre struttura le future esperienze della figlia con gli uomini.
Il potere della parola di plasmare l’esperienza è inquietante. Prendiamo ad esempio un bambino a cui il padre o la madre dicano: “Non ne fai mai una giusta”. Per tutta la vita egli soffrirà, in misura maggiore o minore, perché avrà la sensazione di sbagliare tutto. Questo senso di incompetenza persisterà indipendentemente da ciò che riuscirà a realizzare nella vita. Le parole si sono stampate nella mente del bambino e cancellarle non è un compito facile. Alexander Lowen
© www.nicolettacinotti.net Addomesticare pensieri selvatici “Un percorso terapeutico verso l’accettazione radicale”
Foto di ©Revo
Lascia un commento