
Tra oggi e giovedì termineranno due protocolli. E ogni volta è un’occasione per esplorare il processo del saluto. Per me e per gli altri. Alcuni scivolano via, in silenzio, con un misto di leggera indifferenza o una vena di solitudine. Altri invece si attardano, fanno immediatamente progetti per proseguire, salutano calorosamente e scherzosamente.
Spesso con l’impegno di rivedersi presto. Come se questa fosse la garanzia e il salvacondotto necessario per poter salutare. Io rimango sempre sorpresa della ventata di vitalità che ogni volta attraversa i saluti. Sempre grata di quello che le persone mi insegnano. Nessuno mi lascia uguale a prima. Con stupore sento, ogni volta, il gusto del saluto.
E così mi sembra che, in ogni momento della nostra vita, il processo del saluto sia una vera e propria pratica. il saluto quando iniziamo. Il saluto quando finiamo. In questa continuità ricca di sfumature il saluto prende spazio per riconoscere la differenza tra essere insieme e tornare a casa. Questo stesso saluto è quello che rivolgiamo a noi stessi con la pratica della mattina e con la pratica della sera. Riconosciamo le onde della nostra presenza. E la natura impermanente del nostro umore e della nostra vita. Riconosciamo che ciò che ha un inizio ha una fine. E smettiamo così di evitare la nostra più grande paura. Ne prendiamo una piccola e quotidiana consapevolezza.
Non voglio sentir parlare Della saggezza dei vecchi, bensì della loro follìa, La loro paura della paura e della frenesia, la loro paura del possesso, Di appartenere ad un altro, o ad altri, o a Dio.
La sola saggezza che possiamo sperare di ottenere la saggezza dell’umiltà. L’umiltà è sconfinata. T. S. Eliot
Pratica di mindfulness: Geografia del lasciar andare
© Nicoletta Cinotti 2022
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