
Combattiamo spesso con la lentezza: la combattiamo, nel traffico, nelle cose, nelle risposte. Ci critichiamo se non siamo subito pronti e rapidi a rispondere e a concretizzare. Abbiamo il pregiudizio che la lentezza ci impedisca di fare, di fare molto, di essere produttivi.
Abbiamo anche il pregiudizio che la lentezza sia un segno di pigrizia e che ci impedisca di procedere.
E il pregiudizio che sia una forma di scortesia nei confronti di chi ci aspetta.
Forse, a volte, la lentezza è tutte queste cose. Eppure la lentezza è la base in cui lasciar emergere la consapevolezza. Noi non siamo inconsapevoli: siamo solo veloci. Così, quando rallentiamo, iniziano ad emergere le sensazioni fisiche ed emotive che la velocità copre. Non ci piacciono e acceleriamo, scacciandole. Quando avremo voglia di incontrarle basterà rallentare mezz’ora – forse anche meno. Saranno ancora lì ad aspettarci. Loro non hanno fretta e trasformano la nostra vita silenziosamente.
A volte la velocità ci rende scortesi: non si è mai vista una persona di fretta che riesca ad essere gentile. La gentilezza però è sempre lì, che aspetta di nascere e di vedere la luce. Abbiamo il pregiudizio che se saremo veloci faremo di più. Molte persone lente ci dimostrano che non è così. Che la velocità non è sinonimo di produttività e che spesso, per essere veloci, dobbiamo rifare le cose più volte. Molte volte. A volte dobbiamo ripeterle per sempre.
Abbiamo infine bisogno di ricordare: ricordare quello che dobbiamo fare e come facciamo a farlo: ed è qui che la lentezza rivela tutto il suo splendore. La tecnologia ci ha reso molto più veloci. E immemori. Non reggiamo quella velocità: così dimentichiamo i messaggi che abbiamo mandato, dimentichiamo gli appunti scritti sull’Ipad, ricordiamo meno i libri letti sui tablet. Non è un’epidemia di Alzheimer: è un’epidemia di velocità.
Comunque possiamo stare tranquilli: rispetto alla nostra dimenticanza, rispetto alla nostra scortesia, rispetto alla nostra produttività, abbiamo sempre la possibilità di variare il ritmo. Di lasciare la velocità a quelle cose che davvero la richiedono. E di dare, a tutte le altre, il loro tempo. Il loro ritmo.
C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una delle situazioni più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo.
Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio. Milan Kundera
Pratica informale di mindfulness: Oggi fai qualcosa lentamente. Qualsiasi cosa. Anche se dura 5 minuti. Anche se dura 1 minuto. Non aver paura della lentezza. La nostra lentezza parla con sincerità.
© Nicoletta Cinotti 2017 Il protocollo MBCT, Andare al cuore della relazione
Foto di © cdegaigne
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