Quando pratichiamo facciamo cose semplici ed essenziali. Forse potremmo addirittura dire che facciamo tre cose: dimoriamo nel corpo e nel respiro, facciamo esperienza di quello che accade e poi ci apriamo al cuore dell’esperienza.
Aprirsi al cuore dell’esperienza è il punto cruciale della pratica ed è anche il momento in cui sorgono le nostre distrazioni e il nostro vagare.
Siamo lì, seduti, in compagnia di noi stessi e quello che proviamo suscita una risposta emotiva. Se non ci permettiamo di esplorare questa risposta emotiva, non possiamo andare al cuore dell’esperienza. Rimaniamo in superficie, dove è più facile vagare, perché siamo meno radicati.
Nello stesso tempo quel punto è davvero il cuore della pratica: e la ragione per cui dico spesso che dobbiamo scongelare il cuore.
Perché se non guardiamo in faccia gli ospiti nascosti nel nostro cuore non potremo mai dire davvero di essere consapevoli. È come se ci fermassimo davanti ad una porta chiusa e non andassimo mai al di là. Quello è il romanzo della nostra reattività che ci spinge ad evitare di esplorare, a evitare di uscire dalla nostra zona di comfort.
Così, quando vaghiamo, oltre a fare una notazione del nostro vagare, proviamo a domandarci “Cosa sto perdendo proprio adesso?”, “Cosa perdo, evitando e vagando altrove?”. Perché una parte di noi – magari piccolissima – conosce la verità su questo argomento. Proviamo ad ascoltarla.
Ecco in che cosa consiste la pratica: imparare a non credere che la nostra reattività inveterata sia ciò che siamo. Siamo realmente molto di più di qualsiasi reazione condizionata fondata sulla paura. Ezra Bayda
Pratica di mindfulness: Lavorare con la paura
© Nicoletta Cinotti 2015 Scongelare il cuore
Foto di ©CarloAlessioCozzolino
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