A volte ci affezioniamo alla nostra rabbia e alla nostra ribellione. Ci affezioniamo perché sappiamo che ci hanno aiutato a reagire e ad uscire dalle difficoltà. Abbiamo pagato un prezzo per questo, a volte anche molto alto ma ci pare che il gioco valga la candela. Perché temiamo che, altrimenti, rimarremo immersi nelle difficoltà.
È questa spinta all’azione che ci fa provare fiducia nei confronti della rabbia: non vediamo altre strade e temiamo l’inattività come se solo un ruggito ci potesse muovere. Quando ci muoviamo sulla base di questo impulso siamo focalizzati sul risultato e il nostro orizzonte ha la dimensione del nostro obiettivo. Non vediamo nient’altro: né di noi stessi né delle persone che sono coinvolte. Non vediamo la nostra fatica né i colpi che possiamo assestare a destra e manca. Siamo energici, di un’energia che lascia svuotati.
Questa non è l’unica strada per passare all’azione: ne esistono altre che nascono dall’intimità con quello che proviamo, dal fare spazio a quello che sentiamo. È in questa intimità che nasce il movimento, se eliminiamo questa intimità non possiamo che andare avanti con sforzo.
Sentire non significa rimanere sconfitti: significa cogliere la profondità dei nostri sentimenti e la radice delle nostre risorse. Significa essere presenti alla domanda cruciale di ogni evento: cosa facciamo con tutto questo? Scegliere di nutrire la saggezza che nasce dall’esperienza e la passione che nasce dall’ispirazione.
Ogni volta che soggiacciamo ad un impulso perdiamo la grazia naturale e il nostro corpo diventa una macchina. È proprio il caso di citare l’ingiunzione biblica: a che vale conquistare il mondo se si perde l’anima? Alexander Lowen
Pratica del giorno: Grounding
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©Jackie5
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