
C’è una famosa leggenda Cherokee che ben si presta a descrivere l’approccio mindfulness alla psicodinamica tra stati mentali salutari e stati mentali non salutari
Leggenda Cherokee dei due lupi
Un anziano Cherokee stava raccontanto al nipote la propria vita.“C’è una guerra dentro di me:” E’ una lotta molto dura tra due lupi. Uno e cattivo… è invidioso, ingordo, ha molte colpe , prova risentimento verso il prossimo, è indulgente con se stesso, bugiardo e con un orgoglio finto. L’altro invece è buono.. è la gioia, la compassione, l’umiltà, la benevolenza e la verità…La stessa lotta che c’è dentro di me adesso c’è anche dentro di te, e c’è dentro a ogni persona….”Il nipote guarda in su verso il nonno e con gli occhi pieni di paura gli chiede:” Dimmi nonno, quale di questi due vince?” E il nonno in risposta “Quello che nutri…..”
Questa leggenda descrive bene l’esperienza che ognuno di noi può avere su di sé: spesso siamo attraversati dall’invidia di cui ci ha parlato riccamente Melanie Klein, oppure dai profondi conflitti interni che costituiscono la topica psicoanalitica o siamo pieni di risentimento rispetto alla nostra esperienza passata. Questa realtà non viene negata. Ma si sceglie di nutrire gli aspetti positivi della propria personalità: quelle emozioni di compassione, saggezza, umiltà e benevolenza che appartengono alle emozioni sociali positive e che sottolineano gli aspetti di interconnessione anziché gli aspetti personalistici.
L’accettazione
La storia permette subito, fin dall’incipit, di svelare la chiave di questo processo: è la consapevolezza non giudicante, della presenza di entrambi, la verità della loro coesistenza e una accettazione onnicomprensiva che permette di aprire la porta all’emergere dei sentimenti positivi, senza negare la presenza gli elementi negativi.
Si rinuncia quindi all’analisi degli aspetti conflittuali per indagarli, con interesse e curiosità, senza evitare di riconoscere la loro presenza e la loro natura che comprende eventuali associazioni con la nostra storia passata. Questo materiale entra nel campo della consapevolezza per essere trattato con accettazione, senza intraprendere azioni dirette volte al cambiamento e viene trattato come una contrazione della mente, un corrispettivo alle contrazioni muscolari che possiamo sperimentare nel corpo.
La storia afferma anche la presenza dei “se multipli”(Bromberg 1993) dove la coscienza ha la funzione di una coalizione di diversi stati del sé. Ciò che conscio è quindi ciò a cui prestiamo attenzione, più che una biforcazione del sistema psichico tra conscio e inconscio. L’attenzione ai diversi stati del Sé, in momenti differenti, è una funzione determinata da diversi stimoli, sia interni che esterni.
Considerarle come sub-identità offre parecchi vantaggi: patologizza meno i sintomi considerandoli aspetti parziali e non identitari; rende possibile conoscere e nominare parti di noi e consente di rispondere in maniera differenziata a bisogni che possono sembrare contraddittori; lascia sempre attiva una parte sana, capace di curarci. Genitori di sé stessi . Enrico Damiani Editore.
Alcuni aspetti del Sé vengono tenuti fuori dalla coscienza, attraverso aspetti dissociativi. Non esiste un Io che reprime gli impulsi inaccettabili ma piuttosto una direzione sistemica dell’attenzione che distoglie da quegli aspetti dell’esperienza del Sé che riteniamo inaccettabili. Questi aspetti dissociati sono generalmente quelli connessi ad esperienze traumatiche.
La terapia consiste nell’integrare differenti parti del Sé e nel portarle ad un dialogo reciproco attraverso la consapevolezza.
La psicologia buddista
Nella psicologia buddista, a cui la tradizione mindfulness fa riferimento, l’esperienza di un Sé unitario e statico è considerata una illusione. In questa prospettiva il cambiamento avviene abbandonando la necessità difensiva di vedere se stessi come un insieme immutabile e statico. E la salute psicologica coincide con la capacità di abbandonarsi e di essere semplicemente vivi.
Questa visione granulare della nostra identità non è nuova, fa parte della psicologia buddista ma è, nello stesso tempo,all’avanguardia perché viene teorizzata nella psicologia contemporanea. Ne parla Richard Schwartz5 nella sua teoria IFS (Internal Family System), ne parla Daniel Siegel in Mindsight. Genitori di sé stessi . Enrico Damiani Editore.
Accettazione e consapevolezza
La ragione dell’importanza particolare attribuita ai processi di accettazione è strettamente collegata al ruolo centrale della consapevolezza. Ogni processo di rifiuto, critica o giudizio, infatti, finisce per provocare una restrizione del campo di consapevolezza. Non riusciamo a rimanere a lungo consapevoli dei nostri aspetti negativi se non attraverso il filtro dell’accettazione incondizionata, del perdono e della compassione verso di sé. Il tema dell’accettazione è, quindi, inevitabilmente e strettamente connesso al sostegno agli aspetti positivi di compassione, benevolenza e perdono nei confronti di sé stessi e degli altri. Aspetti che sappiamo essere connessi con la pratica della meditazione. Questo comporta la rinuncia a qualsiasi elemento direttamente trasformativo degli aspetti negativi. Una rinuncia che comporta una piccola rivoluzione terapeutica: non è la manipolazione e l’attacco diretto al sintomo quello che guida il processo di cambiamento. E’ piuttosto il riconoscere l’esistenza di un tratto che necessita di quell’amoreprofondo che gli è stato originariamente negato e che ha prodotto una sorta di scissione interna alla nostra personalità.
Il paradosso centrale del processo di cambiamento è propri qui: abbandonando il desiderio di essere qualcosa di diverso da ciò che siamo, sperimentiamo il cambiamento. Un compito importante della terapia mindfulness based consiste nell’aiutare i pazienti ad abbandonare i loro tentativi di manipolazione di sé per muoversi verso l’accettazione.
Il ruolo della resistenza
Questo nuovo approccio alle difese ha origini lontane nella storia della clinica. Già nel 1941 Fenichel affermava.<<L’analisi deve sempre procedere secondo il livello che in quel momento è accessibile all’io. Quando una interpretazione non ha efficacia ci si chiede spesso:”Come avrei potuto dare un’interpretazione più profonda?” Spesso però il problema andrebbe posto in maniera più corretta:”Come avrei potuto interpretare in maniera più superficiale?”>>(Fenichel, 1941,41). Prima ancora Reich (1934), attraverso l’analisi del carattere, aveva avanzato l’ipotesi che le resistenze costituissero una protezione contro il pericolo psichico, fornendo al terapeuta informazioni essenziali rispetto al modo di funzionare nella realtà del paziente. Questo significa che la resistenza è una parte del Sé con la quale è essenziale imparare a collaborare e ad allearsi.
In questo senso il paziente va aiutato ad assumersi non la responsabilità del cambiamento ma la responsabilità delle proprie azioni, ossia sperimentare le azioni consuete come qualcosa di scelto e voluto. Perché questo sia possibile è necessario che il paziente possa essere in grado di accettarsi nel momento e nel contesto della relazione con il terapeuta. Una accettazione che deve essere bipersonale.
La contrazione del corpo e della mente:mindfulness e bioenergetica
Sotteso al tema dell’accettazione è quindi il ruolo chiave delle resistenze che costruiscono il nostro modo di funzionare nella realtà. In questo alveo si comprende l’attenzione centrale ai processi corporei che ci permettono di riconoscere le nostre contrazioni fisiche, che sono sia modi di ridurre la consapevolezza, che aspetti corrispondenti a contrazioni mentali da esplorare. In questo senso mindfulness e bioenergetica declinano insieme l’attenzione alla consapevolezza corporea e alla padronanza ma anche il senso del principio di identità funzionale mente-corpo. Questo principio, di origine reichiana, afferma che ad ogni stato corporeo corrisponde uno stato mentale e quindi ad una contrazione cronica nel corpo, corrisponde una contrazione cronica nella mente, uno schema maladattativo di risposta.
Il lavoro sull’accettazione quindi non può prescindere da un lavoro corporeo perché, altrimenti, il rischio è che l’accettazione sia una scelta “pensata” ma non “sentita”.
© Nicoletta Cinotti 2023
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