Dunque, per ascoltare avvicina all’orecchio la conchiglia della mano che ti trasmetta le linee sonore del passato, le morbide voci e quelle ghiacciate, e la colonna audace del futuro, fino alla sabbia lenta del presente, allora prediligi il silenzio che segue la nota e la rende sconosciuta e lesta nello sfuggire ogni via domestica del senso.
Accosta all’orecchio il vuoto fecondo della mano, vuoto con vuoto. Ripiega i pensieri fino a riceverle in pieno petto risonante le parole in boccio.
Per ascoltare bisogna aver fame e anche sete, sete che sia tutt’uno col deserto, fame che è pezzetto di pane in tasca e briciole per chiamare i voli, perché è in volo che arriva il senso e non rifacendo il cammino a ritroso, visto che il sentiero, anche quando è il medesimo, non è mai lo stesso dell’andata.
Dunque, abbraccia le parole come fanno le rondini col cielo, tuffandosi, aperte all’infinito, abisso del senso.
© Chandra Livia Candiani
Foto di © Elena Mariotti
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