La solitudine non è un sentimento insolito per un adulto: è normale sentirsi soli, in alcuni momenti e, in altri, scegliere di stare soli. Spesso è per fedeltà a noi che possiamo provare solitudine: per fedeltà ai nostri interessi, alle nostre passioni o alle nostre convinzioni. Non è questa la solitudine che pesa, anzi, a volte può essere un sollievo.
Ci serve per mettere a fuoco le nostre idee, nutrire la creatività e dare forma alla nostra vita: può essere una semplice e immediata terapia dell’essere che ci fa tornare a casa. Anche per i bambini è così: quando sanno stare da soli, giocare da soli e organizzare il proprio tempo in autonomia sappiamo che stanno crescendo bene. Che sanno regolare le emozioni sociali e quelle individuali.
Ma c’è un tipo di solitudine che, invece, è sempre troppo: quella che nasce dall’isolamento, quella che crea il vuoto e ci lascia assorbiti nei nostri pensieri. Quella solitudine non è benefica perchè nasce da un ritiro ed è alimentata dalla paura e dall’assorbimento nei pensieri. Alla fine diventa lieve come la nebbia e quasi non la sentiamo più. Eppure è così importante saper distinguere la solitudine che nutre l’essere da quella che lo affoga nell’isolamento e nel deserto. Interno ed esterno. Questa solitudine non merita indugio né indulgenza. Merita risposte attive e movimento. Contatto e relazione. Merita lo sforzo di uscire dal guscio perchè – contrariamente a quello che pensiamo – fuori, il mondo esterno è sempre meglio dell’isolamento interno. A qualsiasi età. Anche se abbiamo imparato da bambini a stare ritirati è sempre il momento giusto per iniziare ad uscire. E i momento giusto è adesso.
Il tuo passato diventa una luce quando ti aiuta a notare che cosa sta succedendo nel tuo presente. Virginia Satir
Pratica di mindfulness: Centering meditation
© Nicoletta Cinotti 2016 Le radici della felicità
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