
Abbiamo un’immagine publica, più o meno curata e più o meno conosciuta. A volte mostra molto di noi, a volte poco. Ma nessuno è totalmente come la sua immagine pubblica, nessuno somiglia totalmente a quello che mostra di sé.
Per pudore, per riservatezza o per inconsapevolezza, siamo molto di più di quello che mostriamo, a volte molto di meglio, a volte solo molto di diverso. In quello iato tra il nostro io pubblico e il nostro io segreto sta uno spazio che può essere riempito di molte emozioni diverse che fanno da filtro tra quello che mostriamo e quello che teniamo nascosto. Quello iato è lo spazio del cambiamento e della rivelazione. È la porta d’ingresso della nostra intimità ma è anche la porta d’ingresso per il nostro cambiamento. A volte siamo spinti in quello spazio da eventi improvvisi, a volte scegliamo, finalmente, di abitarlo, perché c’è qualcosa che è sempre un po’ menzognero nella nostra immagine publica. È la paura di non essere amati per come siamo quello che ci rende menzogneri. È la verità quella che ci rende liberi. Liberi e umani.
Così quando ci guardiamo allo specchio, quando pratichiamo, è come se avessimo un panorama con molti sfondi davanti a noi, di profondità diversa. Il più profondo è il nostro io segreto. Non possiamo sempre abitare lì ma passarci del tempo è un gran conforto. È lì dove ci conduce la pratica: a essere chi siamo davvero. È quella la pace che cerchiamo e l’inquietudine misura la distanza tra chi mostriamo e chi siamo davvero.
A me importa solo l’io segreto.(….) Guardo la gente che cammina per la strada, che cammina e nient’altro, ed è questo che sento: camminano, ma vengono anche trascinati via. Sono parte di una corrente». Anaïs Nin, “La voce”
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