
Torno a casa in macchina. Guido piano, come se dovessi ancora sistemare emozioni e pensieri della giornata. Mi avvicino ad un semaforo diventato giallo da qualche secondo. Mi fermo.
Il delirio.
L’autista dietro di me suona, si affianca, protesta come se gli avessi appena fatto un torto personale. Secondo lui avrei dovuto accelerare e passare. Ce l’avrei fatta. Qualcun altro dietro suona: non so se per sostegno all’uomo esagitato o perché rientri in macchina. Nel frattempo il semaforo è tornato verde. Riparto. Lui no, Litiga con quello dietro che gli ha suonato. Poi riparte anche lui. Una storia già vista altre volte, Probabilmente una storia che tutti noi conosciamo già. Qualche volta siamo il guidatore che si ferma. Qualche volta quello che si arrabbia. Il punto è che l’ambivalenza, l’ambiguità, ci fa impazzire.
Il semaforo giallo è un segnale ambiguo. Non ti dice ancora fermati; serve perché, chi sta già passando, termini l’attraversamento. Per molti però diventa “Fai di tutto per passare”, oppure “Brucia il rosso”. Così questo segnale ambiguo può diventare pericoloso. L’automobilista dietro di me aveva deciso di fare di tutto per passare e la mia sosta l’ha bloccato, forse spaventato perché ha temuto di non fare in tempo a frenare. Probabilmente avevamo ragione entrambi. Io non ero multabile perché mi sono fermata al giallo. Lui aveva fretta e voleva qualcosa di più scorrevole.
La cosa interessante è che questa diversa lettura dello stesso segnale è tipica nelle situazioni di ambivalenza. E, nelle relazioni, è davvero complicata. Diventa facilmente “Io credevo che avessi capito che non ero più innamorato” mentre per l’altro il segnale significava “è in crisi e ha bisogno di più attenzione”. Perché quando ci troviamo di fronte ad un comportamento ambivalente tendiamo ad attribuire all’altro quello che ci piace di più. Non diciamo a noi stessi “È ambivalente, potrebbe andare in una direzione o nell’altra”; ci diciamo “fa così perché….”e mettiamo la nostra spiegazione, quella che ci fa più comodo. Raramente quella vera. Come mai facciamo così? Perché non ci piace l’incertezza. Preferiamo attribuire un significato certo a quello che accade. A volte preferiamo una verità negativa all’incertezza. Eppure saper stare nell’incertezza ci permette di cogliere il processo, il formarsi della verità, il continuo cambiamento. Ci permette la saggezza del non sapere. Ci permette di riconoscere che la verità non è scolpita nella roccia, immutabile, ma è in continuo divenire. Ci permette di comprendere che l’unica sicurezza è saper stare nell’incertezza.
Quando interrompiamo il nostro consueto modo di dare nome alle cose e facciamo un passo indietro, facciamo qualcosa di estremamente coraggioso. Lentamente entriamo in uno stato di apertura, lo affrontiamo e ci muoviamo verso un luogo che non ha niente a cui aggrapparsi, un luogo senza appigli. Pema Chodron
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro
© Nicoletta Cinotti 2017 Il protocollo MBCT
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