
Credo che tutti noi conosciamo il potere delle parole: non parlo solo del tono e del modo con cui le pronunciamo. Parlo proprio della parole in sé per sé. Siamo così sensibili alle parole perchè la nostra mente si forma attorno all’esperienze al linguaggio. Nei primi due anni di vita, fino a che non iniziamo a parlare, l’apprendimento è mediato dall’esperienza: impariamo sulla base di quello che facciamo. E delle emozioni che proviamo nel momento in cui facciamo esperienza. Impariamo dalla gioia – emozione sottovalutata eppure centrale per l’apprendimento – e impariamo anche dalla paura. Se abbiamo paura impariamo a chiudere la mente. Se proviamo gioia ad aprirla e ad esplorare. Più siamo gioiosi e più siamo curiosi, da bambini e non solo.
Quando iniziamo a parlare aggiungiamo un elemento in più attorno a cui strutturare la nostra mente in formazione: le parole. Non impariamo più solo dall’esperienza ma impariamo anche a raccontare l’esperienza. E, soprattutto impariamo un elemento essenziale: la distanza. Perchè la parola ha un grado di distanza dall’esperienza. Quel grado di distanza permette la formazione del processo simbolico (non so cosa mi è preso stamattina con questo spiegone: ho letto delle poesie per bambini appena sveglia e questo è l’effetto!)
La distanza delle parole dall’esperienza è libertà. È scelta, è potere ed energia. Quella distanza dall’esperienza permette anche che, in quello spazio virtuale che si crea tra noi e l’esperienza che stiamo facendo, inizi a comparire un processo consapevole di vergogna. E, purtroppo, di autocritica. Impariamo lì a parlarci: nel breve – o grande – spazio che c’è tra noi e l’esperienza. Se lo spazio è troppo grande è facile che si infili la vergogna che con fare stregonesco ci dice Non vai bene, eh no, così non vai proprio bene.
Se siamo molto perfezionisti quello spazio è grande: grande come il mare. Perché è accresciuto dalla misura della distanza tra dove siamo e dove vorremmo essere. E spesso iniziamo a spronarci come un comandante severo. È qui, proprio qui che è fondamentale ricordarsi che impariamo dalla gioia e che l’imperfezione è una grazia, un dono. Il dono dell’apprendimento.
La cosa davvero difficile e davvero straordinaria è abbandonare l’idea di essere perfetti e cominciare a diventare se stessi. Anna Quindlen
Pratica di mindfulness: Centering meditation
© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione
Foto di © AnnaEmilia
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