
Mi capita spesso di trovare relazioni che soffrono per un eccesso d’empatia. La risonanza del dolore e della difficoltà che una azione potrebbe suscitare nel partner è talmente forte da far entrare l’altro in una specie di blocco relazionale. La persona sceglie di non fare quello che desidera o, più semplicemente, di fare quello che desidera l’altro proprio a causa di questa specie di “pressione empatica”.
Anche se può sembrare strano questo è uno dei segnali di rischio di separazione. Perché qualsiasi relazione che vada avanti, dominata dalla paura di provocare dolore all’altro, o dalla paura di perderlo se si è autentici, a scapito della propria libertà d’espressione, prima o poi, diventa insostenibile.
Questa tensione nasce dal nemico vicino della compassione: il dolore. E dalla confusione tra compassione ed empatia. La compassione è un sentimento che ci rispetta, perché non ci considera più forti del nostro interlocutore.
L’empatia invece, ci può far credere che noi abbiamo più forza e capacità dell’altro e che, questo qualcosa in più, ci impone qualche dovere maggiore. Questa confusione nasce dalla componente razionale che l’empatia richiede. Mettersi nei panni dell’altro significa infatti “pensarlo”. La compassione invece è un movimento spontaneo di partecipazione che non travalica e non travolge. Una condivisione nella quale siamo sempre pari, anche se la nostra esperienza è diversa.
Se vuoi che gli altri siano felici, pratica la compassione. Se vuoi essere felice tu, pratica la compassione.
Dalai Lama
Pratica di Mindfulness: Pratica di gratitudine
© Nicoletta Cinotti 2022
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