
Ci sono delle cose che, una volta comprese, non le abbandoni più. Perché illuminano il percorso e anche perché, la loro semplicità le rende straordinarie.
Nella formazione per diventare psicoterapeuti siamo abituati all’astrazione e, dico tra me scherzando, alla complicazione. La vita reale poi è molto più semplice e diretta: essenziale. Per questa ragione molte persone trovano estraneo il linguaggio della psicologia. Troppo teorico o troppo astratto.
È stato per questo che quando ho letto Lowen l’ho trovato straordinario: non era teorico. Era reale, immediato, diretto. E la sua idea – quella che tuttora continua ad illuminare il mio lavoro – è la base del Sé corporeo. Cosa siamo, alla fine, noi uomini? Siamo persone che cercano di essere consapevoli, di esprimersi e di avere padronanza su quello che accade.
Se guardiamo a questi tre aspetti – self awareness, self expression e self-possession (consapevolezza corporea, capacità espressiva e padronanza di se) comprendiamo cosa funziona e cosa non funziona nella nostra vita (e nel nostro lavoro)
A volte siamo molto consapevoli ma incapaci di dare espressione a noi stessi. Altre volte abbiamo molta padronanza ma non sufficiente consapevolezza o libertà espressiva. Alla fine, la nostra salute emotiva e il nostro senso della felicità si basano sull’equilibrio tra questi tre aspetti. E quello che è più fragile e delicato è proprio quello espressivo. Possiamo avere anche molto successo – o una relaziona molto stabile – ma se non sentiamo la possibilità di esprimere chi siamo davvero, non siamo soddisfatti né tantomeno felici.
[box] L’inibizione dell’espressione emotiva porta ad una perdita di sensibilità e di vitalità e quindi comporta anche una successiva perdita di consapevolezza. Alexander Lowen[/box]
L’inibizione dell’espressione emotiva
Esprimersi emotivamente non è facile: possiamo essere dei gran parlatori eppure evitare accuratamente di esprimere intimamente quello che sentiamo. Le ragioni possono essere molte. La più frequente è la paura di venir giudicati per la nostra interiorità. Giudicati dagli altri e da noi stessi, come se svelare quello che sentiamo ci rendesse esageratamente vulnerabili. Non pensiamo mai a quanto perdiamo non esprimendo le nostre emozioni, sia in termini di consapevolezza che in termini relazionali. Sottraendo la nostra comunicatività lasciamo gli altri incapaci di comprendere dove siamo davvero e quali sono i confini reali della nostra relazione.
Per questa ragione in bioenergetica l’aspetto espressivo non è mai sottovalutato. Quando parliamo di espressività non facciamo però riferimento solo alla comunicazione verbale ma, in senso più ampio, alla capacità di comunicare sulla base di ciò che sentiamo emotivamente. In questo senso le parole necessarie sono davvero poche, a volte pochissime. Iniziamo spesso dal ristabilire il ritmo del No e del Si per riportare sensibilità nel corpo. È una espressività che viene accompagnata dalla consapevolezza e padronanza. Come dice Lowen:
Se da una parte la persona è incoraggiata a esprimere ciò che sente, dall’altra viene aiutata ad esercitare un controllo consapevole di tale espressione. La finalità non è quella di inibire o limitare il sentire ma di renderne efficace, economica e appropriata l’espressione.
All’equilibrio espressivo, per Lowen, si arriva proprio attraverso la coordinazione, attraverso l’integrazione di tutte le parti di noi
Dal gesto alla parola
Dal gesto alla parola è stato il titolo della mia tesi di laurea in psicologia. È stata una gioia quando ho scoperto che due eminenti linguisti come Werner e Kaplan, autori di due volumi che sono stati una pietra miliare “La formazione del simbolo” affermavano che le parole nascono come gesti e, solo successivamente diventano linguaggio. La radice della nostra comunicazione perciò è corporea. Il bambino somatizza le parole in una sorta di appropriazione fisica delle loro caratteristiche sensoriali e solo quando è in grado di avere un pensiero simbolico permette che diventino espressione verbale convenzionale.
La comunicazione gestuale ha la stessa struttura della comunicazione linguistica e rimarrà come mezzo comunicativo di sfondo anche una volta che il bambino avrà iniziato a parlare.Nel corpo qiundi nascono le nostre parole. Parole essenziali.
[box] “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere.” Emily Dickinson[/box]
Disporsi all’espressione
Man mano che il pensiero simbolico si sviluppa iniziamo ad avere un linguaggio anche molto lontano dal corpo e dalle sensazioni ma questa porta d’accesso non rimane mai serrata. È sempre una strada percorribile a ritroso, per ritrovare le parole che parlino davvero al nostro cuore, dobbiamo percorrerla più e più volte.
Tanto più le parole che diciamo sono teoriche e astratte, tanto meno suscitano una risonanza emotiva. Tanto più sono corporee e concrete tanto più aprono spazi e territori della consapevolezza.
Così arriviamo alla pratica di meditazione e scrittura: per riportare alla luce le parole del corpo. La pratica di Mindfulness è una pratica di intuizione profonda che apre la porta all’intimità con noi. E quell’intimità ha bisogno di essere coltivata con parole semplici ed essenziali. Parole che ci ricordino la nostra vera natura e, forse, i nostri veri bisogni.
È per questo che, insieme a Valeria Maggiali, la nostra Yoga Teacher, abbiamo pensato di creare una sequenza che aiuti a disporsi alla meditazione e alla scrittura. È stato un gioco divertente che abbiamo fatto insieme, pensando a te!
Dandasana: la sequenza di Asana di Valeria Maggiali
La scrittura a mano mette in moto movimenti e muscoli completamente diversi rispetto alla scrittura digitale, fatta battendo su una superficie piana. Così Valeria Maggiali ha ideato una sequenza di asana di preparazione alla scrittura, in cui sentire il corpo, per fare spazio al silenzio, dove abitano le parole, per dare vita ai gesti che si trasformano le parole.
Dandasana: Seduti con la schiena dritta e le gambe distese in avanti alla distanza dei fianchi, le braccia lungo il corpo e le mani con i polpastrelli delle dita puntati. Ad ogni inspirazione premere i polpastrelli e gli ischi a terra mentre si allunga la colonna verso l’alto. Ad ogni espirazione sgonfiare il petto e premere l’ombelico verso la colonna e verso l’alto. Le gambe attive, premute verso terra, compresi il cavo dietro il ginocchio e i talloni.
In Dandasana eseguire la sequenza: inspiro e unisco gli avambracci fino a far combaciare i mignoli, mi preparo all’ascolto. Espiro, allontano le braccia e ricevo. Inspiro, piego le braccia verso l’alto fino ad avere i gomiti all’altezza delle spalle, guardando le mani contemplo ciò che ho ricevuto. Espiro, porto le braccia dietro la testa, tenendo gli avambracci premuti e trasformo in riflessione ciò che ho ascoltato. Ripeto per 5 volte.
In Sukasana metto le mani dietro la schiena con le dita rivolte verso i glutei, premendo sui polpastrelli apro il petto verso l’alto, a ciò che verrà. Torno in Sukasana e mi ringrazio per questi minuti di pratica e passo le mani unite in anjali mudra sulla fronte ripetendo mentalmente “benevolenza nei pensieri”, sulla bocca “ benevolenza nelle parole” sul cuore, “benevolenza nel sentire”. Termino con un respiro.
Ripeto la sequenza fino al momento in cui mi sento pronto a scrivere. Scrivere anche solo una parola, un elenco di parole, una breve lettera. Senza paura della sintassi, senza paura della grammatica.
Senza paura della sintassi, senza paura della grammatica.
Qualche anno fa Luisa Carrada, che molti di voi conoscono, scrisse un quaderno scaricabile dal suo blog: sulla relazione e aiuto reciproco tra yoga e scrittura. Se volete approfondire questo tema è una lettura fondamentale. Luisa permette di chiarire, con la sua consueta limpidezza, i vari passaggi della scrittura di un testo e di come questi sono omologhi alla pratica dello yoga che lei conosce molto – forse altrettanto – bene che quella della scrittura.
Un’altra grande maestra di meditazione e scrittura – ma non so se lei sarebbe d’accordo con questa definizione – è Chandra Livia Candiani Le sue raccolte poetiche, in particolare La Bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, sono piene di riferimenti alla pratica di meditazione e a quello che lei chiama “l’insegnamento del soffio”
Cerco riparo
nella voce nuda,
nell’insegnamento del soffio,
chiedo rifugio
nel legame delle foglie,
la conta dei sassi,
il silenzio
che brucia nella corsa.
Faccio monastero
nel petto acceso di respiro,
nell’origine e nella fine
di una sillaba…Chandra Livia Candiani
Solo grazia e non perfezione
Non vorrei però dare un’immagine aulica di quello che significa disporsi all’espressione, né della pratica di meditazione e scrittura. Il nostro desiderio di perfezione ci allontana dall’autenticità, come racconto nell’articolo pubblicato su Yoga Journal di Novembre (non l’hai comprato? Niente paura lo trovi online qui)
In realtà le parole fioriscono nella realtà della nostra vita, come gemme o come pugnali. Anche la pratica è in mezzo al quotidiano, per cui, in accordo con Valeria, vorrei mostrarvi anche le foto del backstage: tanto reali quanto piene di grazia
[box] Sono come un cristallo le parole. Alcune un pugnale, un incendio. Altre rugiada appena. Eugenio de Andrade[/box]
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© Nicoletta Cinotti 2017 ©Valeria Maggiali, Vinyasa Yoga teacher e Acroyoga teacher di secondo livello