Dalla sua nascita la psicologia ha preso in prestito le leggi e i concetti della scienza per la sua esplorazione, ritenendo che quegli strumenti fossero i più adatti per la conoscenza. Così le nostre difese sono state disegnate a partire dai loro meccanismi di funzionamento, il nostro funzionamento è stato descritto considerandone gli aspetti economici in termini energetici e così via. Prese come metafore del nostro mondo interno probabilmente sono state utili ma spesso non le prendiamo come metafore. Le prendiamo in senso letterale e pretendiamo che funzionino, come se fossimo una macchina.
Forse dovremmo iniziare a dire che le leggi che regolano l’esplorazione del mondo scientifico meccanicistico non sono proprio le stesse che regolano l’esplorazione del mondo interno. E ammettere che siamo di fronte ad una rivoluzione creativa che è, prima di tutto, scoprire da se stessi, verificare se le leggi che ci hanno descritto sulla nostra psiche sono proprio vere. Così se ci accorgiamo di non essere presenti – non ne consegue che abbiamo fallito – ma che siamo appena tornati presenti. E l’essere presenti non è uno stato stabile e costante che una volta raggiunto rimane ma fluttuante e mutevole: non prevede nulla di quello che accadrà nel momento successivo ma ci dice solo dove siamo in quell’attimo.
Questo è declinare la logica dell’essere presenti anziché la logica dell’inconscio. La logica dell’esplorazione anziché quella della previsione. La logica della creatività anziché quella meccanicistica.
In virtù del fatto che siamo esseri umani, ognuno di noi ha una relazione intima con il non essere presente. La nostra intimità con questa assenza percepita è un potente alleato. E il terreno della pratica di mindfulness. Ogni volta che ci risvegliamo al fatto di non essere presenti a noi stessi è, infatti, paradossalmente, un momento di presenza. Saki Santorelli
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©stefano-galli
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