
Rubrica scientifica: i cambiamenti neurobiologici spiegano come la meditazione di consapevolezza migliori la salute
Spesso parliamo di mindfulness in termini teorici, strettamente legati alla pratica meditativa. Non va dimenticato, però, che il grande successo ottenuto da questa pratica si radica su un corpus solido – ed in espansione esponenziale – di ricerche scientifiche dal 1980 a oggi.
Jon Kabat-Zinn non ha presentato il suo lavoro in quanto meditante – o meglio non solo – ma anche in quanto ricercatore con dottorato in una delle università più prestigiose della costa Est degli Stati Uniti, l’UMASS.
Questa sarà il primo di una serie di articoli dedicati proprio all’area di ricerca. Siamo pur sempre occidentali, il riscontro scientifico suscita interesse e dà sicurezza. Magari, chissà, per qualcuno può anche fornire la spinta necessaria ad iniziare a praticare la consapevolezza.
Da alcuni anni la pratica di mindfulness ha mostrato il suo potenziale in varie aree, come il rallentare la progressione dell’HIV o il ridurre la naturale degradazione dovuta all’invecchiamento. Come detto in precedenza, però, questo è un campo in aumento. I cambiamenti cerebrali che vanno a produrre questi effetti benefici continuano a venir studiati.
Lo studio della Carnegie Mellon University
Lo studio preso in considerazione ha valutato gli effetti di un training intensivo di mindfulness comparato con un training di rilassamento (scevro da pratiche di consapevolezza). Come gruppi di ricerca sono stati presi campioni da una popolazione adulta in condizione di stress elevato (disoccupazione). Quello che è emerso, in breve, è una riduzione dell’Interleuchina-6 (IL-6)* nel gruppo sottoposto alla pratica mindfulness.
IL-6* è una proteina presente in condizioni di stress elevato ed è stato il biomarker considerato in questa ricerca.
A livello cerebrale, i benefici dati dalla pratica mindfulness derivano da una ristrutturazione dei circuiti attivati e della connettività neuronale. Non è la prima volta che emerge qualcosa del genere, sono svariati gli studi che mostrano come i protocolli riducano la presenza di biomarker infiammatori. Anche il concetto di ristrutturazione ci è affine: in fondo, con la pratica di consapevolezza si va a ristrutturare anche il proprio modo di approcciarsi al momento presente, con tutto ciò che ne consegue.
Nel caso del training intensivo di mindfulness i soggetti sperimentali hanno mostrato questi cambiamenti cerebrali nelle aree deputate all’attenzione e al controllo esecutivo, risultato non presente nel caso del training di rilassamento. Quello che fa la mindfulness, in poche parole, è modificare il cervello affinché questi sia più pronto ed “equipaggiato” per gestire situazioni stressanti.
Una nota conclusiva
Ci capita spesso nella nostra attività di dover specificare come la mindfulness non sia finalizzata al rilassamento, e questo studio offre un buono spunto di discussione.
Tutto quello che si fa praticando la consapevolezza è, come si può evincere dal nome, imparare a portare maggior consapevolezza all’interno delle nostre vite. Lo si fa in maniera gentile, con la giusta energia. Si prende contatto con quello che c’è nel presente delle nostre vite con accettazione, non rassegnazione.
Non è un modo per rilassare perché a volte la verità del momento è che non siamo rilassati affatto. Non sarà di certo indurci una sensazione di rilassamento che andrà a cambiare le condizioni che ci hanno resi non-rilassati dal principio. Perché ci sia un cambiamento è necessario aprire gli occhi e prendere contatto con la situazione in cui siamo.
Pubblicazione originale: Creswell JD et al. Alterations in resting state functional connectivity link mindfulness meditation with reduced interleukin-6: a randomized controlled trial. Biological Psychiatry, Published Online January 29 2016. doi: 10.1016/j.biopsych.2016.01.008
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