
Uno dei miei primi ricordi di bambina riguarda una frase di mia madre “Non grattare le cicatrici”. La pronunciava con una gravità che mi faceva temere conseguenze funesti e di lunga durata.In effetti le mie ginocchia erano molto prodighe di cicatrici, croste e segni vari. E ancora oggi si intravedono i risultati.
La sfida era, ovviamente, farlo senza che se ne accorgesse. O al momento giusto.Oggi quella frase mi fa sorridere per l’importanza con cui veniva pronunciata e per la saggezza che nascondeva. Quando una ferita guarisce dà fastidio, attira la nostra attenzione e spesso vorremmo anticipare la sua risoluzione in molti modi. Ma il tempo è parte della guarigione e il fastidio è il segno del riattivarsi dei tessuti. Anche la psiche è così. Il fastidio che proviamo a volte nel lavoro corporeo o durante la meditazione è l’effetto dello scioglimento dal congelamento del blocco.
In quel momento non. c’è niente da fare. Anzi più facciamo più togliamo energia al processo naturale di guarigione. Un processo che siamo preparati ad affrontare ma che, per misteriose motivazioni, crediamo debba essere spinto, sostenuto, supportato, incrementato. Nemmeno la convalescenza può essere riposante. Forse dovremmo distinguere tra riposo e riabilitazione. Forse dovremmo riconoscere che, come diceva Thich Nhat Hanh, a volte abbiamo solo bisogno di fermarci per guarire. O di guarire dalla corsa incessante, attraverso la pausa
Il blocco nella percezione produce la negazione dei sentimenti. La rievocazione delle sensazioni eliminerà il blocco e l’eliminazione del blocco riaprirà la strada alle sensazioni. Alexander Lowen
Pratica del giorno: Praticare pausa
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