Quando strutturiamo un blocco abbiamo tanti effetti: contraiamo o collassiamo una parte del corpo, ci ritiriamo o ci innalziamo al di sopra delle umane faccende. Andiamo via o andiamo oltre. Ma, soprattutto, creiamo uno strato di mancanza di contatto. Come dice Reich, con parole che a me sono sempre suonate come una poesia “Tra il rimosso e il rimovente c’è uno strato di perdita di contatto”. Una specie di haiku che descrive così efficacemente quello che – volenti o nolenti – è una conseguenza della difesa: la perdita di contatto.
Questa perdita di contato non è mai totale ma fa sì che attiviamo delle misure sostitutive, perdiamo cioè la naturalezza e spontaneità piena dei nostri sentimenti e delle nostre azioni.
Sostituiamo la benevolenza all’affetto; il controllo alla padronanza; l’invischiamento alla tenerezza; la pena alla compassione e così via in una lista infinita di succedanei.
Riportare il contatto non è un atto eroico. Non è combattere il drago o svelare l’incantesimo. E’, semplicemente riportare l’attenzione e, attraverso lo strumento dell’attenzione, la consapevolezza.
Così, nel momento in cui diciamo: non sono in contatto, siamo appena tornati presenti.
Prologo al presente
Apri gli occhi. Svegliati:
il Paradiso sta qui
nella luce effimera.
È (altro non c’è) questa terra: …punto d’incontri,
culla d’assenze.
Il Paradiso sta qui. Apri gli occhi
che aprano le sue porte. Svegliati. Sta qui.
Non è la felicità.
È la presenza.
Edoardo Mitre
Pratica di mindfulness: Protendersi
© Centro Studi Mindfulness e Bioenergetica Genova
Nicoletta Cinotti 2015
Foto di © frescooooo
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