Torno raramente nel paese dove sono nata. Ci sono vissuta in fondo pochi anni. Davvero pochi rispetto al resto della vita.
Eppure tornare è riattivare emozioni fortissime. Non credo che capiti solo a me. Capita a chi emigra. A chi si fa una vita lontano da dove è nato. Poi torna e un filo d’erba basta a raccontare una storia intera. La vita è altrove ma l’intensità di quel passato è davvero unica. Niente assomiglia a quei primi anni. Non è perché siamo nostalgici. È perché tutto era vissuto con una intensità assoluta e tornando arriva la forza di quella intensità.
Mi sono convinta che è per questo che i primi anni sono così critici rispetto alla formazione della nevrosi: vivi tutto così intensamente, senza filtri, che ogni cosa lascia un’impronta. Anche la più piccola. Nel bene come nel male.
Poi metti le cose a posto, cresci, ti fai una vita. Ti sembra di aver capito e conosciuto quello che c’era da sapere. Non è vero ma ti fa stare tranquillo pensarlo. Invece siamo pieni di impronte che sono pronte ad illuminarsi all’improvviso, senza ragione. Se non che, quella, è la materia dalla quale siamo nati. E che la distanza copre ma non annulla quello che sta sotto.
Nel profondo di ciascuno di noi c’è un bambino che era innocente e libero e sapeva che il dono della vita è il dono della felicità. Alexander Lowen
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale
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