Ci sono parole che sono come frecce al centro del bersaglio: formazione reattiva è una di queste. È una parola clinica, nemmeno delle più usate, ma descrive un processo fisiologico che può diventare insano.
Per distinguerci dagli altri e formare la nostra personalità abbiamo bisogno di incominciare a dire no, o sì, in maniera discriminativa. La fase dei no – che i bambini attraversano dal 18 ai 30 mesi – è una delle più faticose per i genitori ma anche una delle fasi fondamentali. Dicendo no impariamo a dire chi siamo e impariamo a riconoscere le differenze tra noi e gli altri. Impariamo a manifestare la nostra padronanza e la nostra volontà.
Fin qui tutto bene. Ma – c’è sempre un ma nello sviluppo delle persone – cosa poi accadrà dipende molto da come i nostri interlocutori accolgono i nostri no. Da quanto riconoscimento danno al nostro diritto di essere noi stessi, senza sottometterci e senza umiliarci.
Se avvengono infortuni nella fase del no – e nelle successive fasi dei no – è facile che si sviluppi una formazione reattiva. Ossia abbiamo bisogno, appena insorge un sentore di rifiuto della nostra persona, di metterci all’opposizione. Anzi abbiamo bisogno di vivere all’opposizione e così ci depriviamo di quel contatto e di quella intimità di cui abbiamo fame come il pane. Uscire da questa modalità – reattiva – di stare al mondo non è cosa facile: significa scegliere di sentire il dolore anziché la rabbia. Di sentire la vulnerabilità anziché il vigore della protesta. Di declinare la vicinanza anziché la distanza. Di declinare la relazione anziché solo l’autonomia e l’indipendenza. Di fermarci anziché passare subito all’azione. Significa stare nel vuoto anziché nel pieno della nostra reattività.
Fermarsi, anziché, semplicemente, riempire immediatamente lo spazio è una esperienza che trasforma. Aspettando, iniziamo a connetterci con la fondamentale irrequietezza e contemporaneamente con l’essenza fondamentale dello spazio. Il risultato è che smettiamo di fare del male. Iniziamo a conoscerci in profondità e a rispettare noi stessi. Può verificarsi qualsiasi cosa, può entrare qualsiasi cosa in casa nostra; possiamo trovare qualsiasi cosa lì, sul nostro divano e non andiamo fuori di testa. Conoscere noi stessi ci ha profondamente trasformato, siamo stati profondamente trasformati da questa onesta, gentile consapevolezza. Pema Chodron
Pratica di mindfulness: Lavorare con le emozioni
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