
Ci sono molte parole che diventano di uso comune. Un uso determinato da aspetti culturale e sociali. Adesso, per esempio, è abbastanza frequente sentir parlare della cura come di un percorso. Anche la parola psicoterapia si usa poco, sostituita, più frequentemente, dalla parola percorso.
Percorso è una bella parola perché dà l’idea del processo, dello svilupparsi, dell’essere in movimento, dell’importanza di ogni singolo passo. C’è solo un piccolo problema: siamo abituati a pensare al percorso come ad un tragitto da un luogo all’altro. Andiamo da casa all’ufficio. Da casa a scuola. Dal cinema al caffè. Sono direzioni definite con un’inizio e una fine. Più o meno con poche variazioni. Certamente possiamo cambiare strada rispetto ai nostri abituali percorsi; possiamo scegliere di mettere della varianti per non diventare troppo automatici, ma la fine è nota. Arriviamo a destinazione.
Non è così con la psicoterapia e non è così con la mindfulness. La direzione è possibile vederla solo guardando indietro. Se ci volgiamo indietro abbiamo chiaro il percorso che è stato fatto. Se guardiamo avanti il nostro piano, come dice Jeff Foster, è piuttosto quello di lasciar andare i piani e seguire la direzione della crescita. Non è perché non sappiamo dove andare. Piuttosto è perché ogni passo apre diverse possibilità. Ogni passo ci mette di fronte alla scelta del passo successivo. Questa si chiama libertà.
A volte le persone arrivano da me avendo ben chiara la direzione verso la quale vogliono andare: questo trasforma il percorso in un tour, una specie di gioco dell’oca dell’esistenza. Questo bisogno di una direzione precisa verso la quale andare parla della nostra paura del vuoto, della nostra paura ad uscire di casa senza conoscere bene la strada.Si perde però l’autenticità del percorso e della scoperta. Si trasforma la psicoterapia in una ambizione: diventare come vorremmo essere. La psicoterapia non è una dieta dell’anima che ci permette di arrivare al peso pre-scelto. Nemmeno la mindfulness è una dieta dell’anima. Nè l’una né l’altra sono coperchi per coprire il nostro vuoto
Sono percorsi nel senso più nobile del termine: perché dimoriamo in ogni passo. La loro direzione è precisa. Molto spesso le persone, con sorpresa mi dicono “Sono cambiato”, “Sono un’altra persona”. Lo dicono guardando indietro. Perché guardando avanti dobbiamo riconoscere che la direzione di crescita non dipende esclusivamente dalla nostra volontà. Non dipende esclusivamente da noi. Proprio come per le piante, dipende dal sole e dal vento, dalla forza delle stagioni. Ma noi siamo tranquilli perché la tenerezza vede mistero dove la mente vede problemi. E in quel mistero nasce la novità.
Spesso ci sentiamo come una pentola senza coperchio. Siamo convinti che il nostro coperchio si trovi in qualche parte nel mondo, che se cercheremo bene troveremo il coperchio giusto per la nostra pentola. Il senso di vuoto è sempre presente in noi. Thich Nhat Hanh
Pratica di mindfulness: La meditazione del fiume (File audio di pratica)
Oppure la meditazione live del luned^
[fblivevideoembed id=”1″]
© Nicoletta Cinotti 2017 Un percorso terapeutico verso l’accettazione radicale
© Foto di Piero Donofrio
Lascia un commento