Abbiamo tutti chiaro che sentirsi importanti, sottolineare il proprio valore, credere di essere meglio di altri, siano aspetti che sottolineano e rafforzano la personalità. Quella stessa personalità che, in altri momenti, ci dà guai e dolori. Così il vantaggio di sentirsi meglio degli altri viene ben presto compensato dal dolore che un’eccesso di personalità porta con se.
Poche volte però consideriamo che lo stesso fenomeno avviene anche quando ci sentiamo peggio degli altri. Quando pensiamo che siamo gli ultimi o quasi, quando abbiamo l’idea di non valere un granché. Quando guardiamo con ammirazione (o forse anche invidia) qualcuno che fa la stessa cosa che a noi non riesce, con grazia e leggerezza. Anche dirsi “Sono il peggiore del mondo” rafforza il nostro senso dell’Io. Anche qui sta, silenziosa, la stessa trappola: una mente che paragona e che – proprio perché paragona – dichiara una dualità e considera l’inevitabile alternarsi di momenti di gioia e dolore, come fallimenti.
Gioia e dolore coesistono, facilità e difficoltà pure. Siamo tutti soggetti ad entrambi. E continuamente si alternano con la loro scia di gratificazione e imprigionamento. Alimentare la mente che paragona è come tentare di riempire una vasca lasciando il tappo aperto. È uno spreco – doloroso – della nostra vita.
Il paradosso della valutazione sta proprio qui: non ci rende migliori, ci rende solo più legati ad una illusione di miglioramento.
L’acqua è insegnata dalla sete.
La terra, dagli oceani traversati.
La gioia, dal dolore.
La pace, dai racconti di battaglia.
L’amore da un’impronta di memoria.
Gli uccelli, dalla neve. Emily Dickinson
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
© Nicoletta Cinotti 2016 Tornare a casa
Foto di ©Elsita (Elsa Mora)
Direi che l’illusione del miglioramento è, almeno per me, la “scusa” migliore per non cambiare affatto, neanche un po’, ciò che sono….e mantenermi scontenta….