
Non credo che ci sia una richiesta più forte e profonda di quella di pace. Ancora più radicata di quella di felicità. Perché sappiamo che senza pace non può esserci felicità. Così sento chiedere pace nel conflitto con un partner, con un figlio. Pace nel rapporto con se stessi e con i propri limiti.
E, paradossalmente, il più grosso ostacolo per raggiungere la pace è la strada delle soluzioni. Posporre la pace al raggiungimento di una soluzione spesso vuol dire aspettare molto. Forse troppo. Oppure significa accettare condizioni che non ci lasciano tranquilli e che diventano, quindi, una fonte di nuovo conflitto e instabilità.
Sono sempre possibili però le sfumature della pace: quelle che nascono prima di arrivare alla soluzione e che ci permettono di costruire alternative che siano davvero pacifiche.
C’è la pace della non azione: quella attesa che ci fa scegliere cosa vogliamo davvero fare, lasciando che tutto torni quieto prima di decidere. È la sensazione che proviamo quando ci sediamo e ci rilassiamo e lasciamo che l’urgenza lasci il posto al dimorare in se stessi.
C’è la pace della semplicità, quella che nasce dal non aggiungere impegno ad impegno, oggetto a oggetto, ma ci invita ad essere essenziali nel possesso come nell’impegno. Non è una pace fine a se stessa: è solamente una semplicità fondamentale.
Pace significa essere senza complicazioni. Non è uno stato di tranquillità fine a se stesso: è solamente una semplicità fondamentale e una fondamentale condizione ordinaria. Quella pace, quella semplicità, per sua natura è vuota. Non ha nulla su cui dilungarsi, perciò è fondamentalmente nuova e pulita, libera dallo sporco, libera dalla sciattezza. È vuota. Chogyam Trungpa
Pratica di mindfulness: La pratica essenziale
© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online
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