Siamo spesso presi in un vortice di attività che ci gratificano e ci stordiscono insieme. A volte poi non ci gratificano nemmeno: sono solo doveri che abbiamo bisogno di portare avanti, o almeno così ci sembra.
Sotto questa modalità così orientata al fare rimangono nascoste molte emozioni che la velocità e l’attività coprono. Perché le nostre emozioni abituali – le più frequenti – spesso hanno un basso tono di voce. Tendiamo infatti a ridurre la percezione di tutto quello che è sempre presente.
Così potremmo essere poco consapevoli che dietro la nostra iperattività si nasconde, sottile come una filigrana. un rivolo di paura. Non una paura specifica ma una paura indistinta: la paura di non esistere. La paura che – se non ci dedichiamo con passione a fare qualcosa – la nostra esistenza venga dimenticata. La nostra visibilità persa. Questa è una delle ragioni per cui i social sono così importanti: rassicurano rispetto a questa paura e, nello stesso tempo, ci permettono di non essere fisicamente esposti.
La paura infatti – quando è sottile e continua – dà una spinta all’attività. Attiva il meccanismo difensivo primario di attacco e fuga e ci rende pieni di iniziative. Quando invece supera il livello di guardia fa l’effetto opposto: paralizza attivando il sistema difensivo primario di freezing. In ogni caso, per strano che possa sembrare, la paura è un meccanismo primitivo di sopravvivenza. Solo che ci fa trovare soluzioni altrettanto primitive mentre noi abbiamo bisogno di qualcosa in più. Non ci basta essere vivi: desideriamo essere felici.
E per essere felici non abbiamo bisogno di essere iperattivi: abbiamo bisogno di trovare la giusta azione. Quella che nasce dalla calma
Ogni contrazione del corpo è espressione di una paura di vivere. Alexander Lowen
Pratica di Mindfulness: Body scan breve
© Nicoletta Cinotti 2017 Risolversi a cominciare
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