
Qualche tempo fa mi trovavo sul treno che dalla valle dell’Hudson va a New York City. Seduto tra una signora impegnata in una rumorosa conversazione telefonica e un uomo sempre più infastidito dal volume della sua voce. Man mano che il nostro viaggio proseguiva, accompagnato dal suono della voce ferma della donna e dai dettagli dei suoi piani, l’uomo grugniva, si agitava, mormorava. Fino a che arrivò all’esplosione, “Stai facendo troppo rumore!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Guardandolo non potei fare a meno di pensare che anche lui stava facendo la stessa cosa.
Quando siamo catturati dal traffico, bloccati in un ingorgo, ci dimentichiamo che anche noi siamo quel traffico. Che anche noi siamo parte del problema così come, almeno potenzialmente, parte della soluzione. Il lavoro con i nostri antagonisti – con ciò che ci suscita avversione – inizia con l’essere preparati a camminare in un territorio nuovo, esplorando la zona che sta tra le persone che ci sono care e quelle che, invece, rifiutiamo e tagliamo fuori.
Il filosofo Peter Singer chiama questo processo “l’espansione del cerchio della moralità” riferendosi all’allargare il cerchio delle persone nei confronti delle quali nutriamo cura e preoccupazione. Anche se l’altruismo comincia come spinta biologica alla protezione, si evolve poi verso la scelta di cura nei confronti degli altri. La reazione impulsiva nei confronti del rumore degli altri può essere un rumore altrettanto forte che innesca però un circolo vizioso di conflitto che porta solo all’esaurimento.
Designare qualcuno o qualcosa come nemico dà a questa persona una identità immutabile. Quando categorizziamo gli altri come cattivi (o buoni o giusti o sbagliati) possiamo sentirci sicuri perchè sappiamo dove sono loro e dove siamo noi. O pensiamo di saperlo. La vita però è più complessa di così.
Il mio amico Brett – che per un certo periodo ha fatto l’autista di limousine, mi raccontava come si arrabbiava per il comportamento degli altri autisti. Poi, ad un certo punto realizzò che anche lui, qualche volta, faceva le stesse trasgressioni che imputava agli altri.
Relazionarsi con gli altri come se fossero una categoria completamente separata li oggettivizza e crea una tensione che, inevitabilmente, arriva al conflitto. Non ci rende facile avere una relazione e, alla fine, può lasciarci parecchio soli.
Nella situazione del treno con la passeggera che usava il cellulare ad alta voce, un approccio più produttivo sarebbe stato cambiare posto oppure, se possibile, suggerire educatamente di abbassare il tono. Oppure, successivamente, attivare un’azione positiva, agire contro l’uso del telefono sui trasporti pubblici o a favore dell’istituzione di carrozze silenziose. Invece che reagire contro le persone che ci offendono, possiamo collaborare per trasformare quella situazione in un beneficio per tutte le persone coinvolte.
Non c’è niente di debole o rinunciatario nel non confrontare aggressivamente e direttamente i nostri nemici. Piuttosto è un modo completamente diverso di connettersi con gli altri senza essere intrappolati nel ruolo di vittima o aggressore (…) Possiamo imparare molto quando esploriamo la pausa che c’è tra essere arrabbiati e agire. Sharon Salzberg
Domenica 12 Novembre alle 18 ci sarà il nostro Kindness Lab, per la Giornata Internazionale della Gentilezza in Via I. Frugoni 15/2.
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© Nicoletta Cinotti 2017 Addomesticare pensieri selvatici
Foto di © mariateresa toledo
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