
A volte nascondiamo parti di noi agli altri per proteggerci. Le nascondiamo perché temiamo che verrebbero giudicate. Le nascondiamo per vergogna. Le nascondiamo per congruenza con l’immagine di noi che vorremmo dare. Le nascondiamo così bene che nemmeno noi sappiamo come trovarle. E, per continuare a lasciarle nascoste, rimaniamo in superficie. Una superficie liscia come l’olio ma priva della ricchezza che solo l’intimità con noi stessi ci concede.
È un equivoco pensare che mantenere segrete parti di noi significhi rispettare la nostra intimità. Confondiamo l’intimità con il segreto e perdiamo così il senso della profondità, il senso della conoscenza di noi. Il rispetto della nostra intimità nasce dal saper accogliere e riconoscere ogni aspetto. Nasce dal permettere che ci sia una buona circolazione interna e non luoghi segreti. Perché se abbiamo un segreto quell’aspetto rimarrà nascosto anche a noi e limiterà l’intimità con noi stessi e con gli altri. Questo non significa che dobbiamo dire tutto. Sarebbe una banalizzazione: significa che almeno noi dobbiamo conoscere la verità su noi stessi per non rimanere alla superficie della nostra esistenza.
L’unica persona alla quale puoi remotamente assomigliare è te stesso. E ciò, alla fine dei conti, è la vera sfida della mindfulness: la sfida di essere te stesso. L’ironia, naturalmente, è che lo sei già. Jon Kabat Zinn
Pratica del giorno: Famiglie interiori
© Nicoletta Cinotti 2022
Foto di ©lincerosso
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