
Non so se hai mai pensato che ci sono aree della tua vita in cui tutto scorre e altre in cui, senza nemmeno sapere bene come mai, le cose tendono a ristagnare. In parte questo accade perché abbiamo bisogno di crescere senza spingerci oltre le nostre possibilità e quindi la crescita procede in modo non uniforme ma a macchia di leopardo.
In alcuni casi però il ristagno è prodotto dal tipo di emozioni che proviamo e dalla nostra disponibilità a coinvolgerci. Immagina che le emozioni siano come un pendolo: alcune spingono avanti, altre spingono indietro.Alcune danno ragione al tuo ritiro e altre danno ragione al tuo coinvolgimento. Per esempio spesso la tristezza spinge indietro – verso il ritiro – e la rabbia spinge avanti – verso il coinvolgimento. In fondo questa oscillazione è salutare: abbiamo bisogno di riposo dopo essere stati attivi. Ma se proviamo troppo spesso emozioni che ci portano al ritiro – come la tristezza – potremmo ritrovarci in una situazione di ristagno.
Il ritiro riparativo è necessario: rimanerci troppo a lungo è pericoloso. Essere coinvolti è necessario: rimanerci troppo a lungo è una inutile esposizione che priva di riflessione. Sicuramente il ritiro è protettivo: permette la riflessione, la digestione, l’elaborazione ma non possiamo guardare troppo a lungo cosa fanno gli altri senza entrare nel gioco anche noi. Se consideriamo la nostra vita da questa prospettiva possiamo comprendere subito – al di là di ogni giudizio – dov’è che è necessario portare vitalità. E la vitalità si porta con il movimento in avanti e con il coinvolgimento. A volte mi capita di ascoltare persone che si lamentano della loro solitudine: eppure solo se qualcuno gli piombasse sulle braccia dall’alto potrebbero trovare un partner. La responsabilità del movimento e del riposo è nostra: troppo movimento diventa una fuga dall’interiorità. Troppo riposo diventa un rifugio senza vitalità. Così ogni tanto domandati: dov’è che tengo tutto fermo? Dov’è che tengo troppo movimento? Scoprirai così che il troppo movimento in alcune aree ha lo scopo di non farti guardare alle parti immobili, spesso abbandonate. Adesso ti sembra che possono rimanere ferme ma tra cinque, dieci, quindici anni non sarai dispiaciuto di averle lasciate ristagnare?
L’equilibrio deriva non dal tenersi stretti a una situazione ma dal fare amicizia tra cielo e terra. La terra è gravità e praticità. Il cielo è visione o esperienza dello spazio aperto in cui sollevare testa e spalle. L’equilibrio nasce dall’unione di praticità e visione o, si potrebbe dire, di abilità e spontaneità. Chogyam Trungpa
Pratica di mindfulness: La meditazione del lago
Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri: ritiro di bioenergetica e mindfulness