
Nella nostra abitudine corrente pensiamo alle emozioni come spiacevoli o piacevoli. Questa distinzione però non è tanto funzionale perché ci fa credere – erroneamente – che le emozioni spiacevoli siano negative e foriere di guai e, viceversa che le emozioni piacevoli siano anche positive. In realtà le cose non stanno proprio così: a volte emozioni spiacevoli sono provvidenziali e viceversa possiamo provare piacere per cose che ci fanno malissimo, anche senza essere masochisti.
Se proprio volessimo usare un criterio per comprendere le nostre emozioni potremmo guardarle dalla logica del coinvolgimento. Ci sono emozioni che ci fanno coinvolgere molto e altre che invece ci lasciano ritirati. Non è detto che sia meglio o peggio l’una o l’altra. È che se cerchiamo di capire meglio come funzioniamo sapere quanto ci coinvolgiamo con le cose è utile. Meno siamo disponibili a coinvolgersi e a rischiare – perché il coinvolgimento comporta un certo rischio – più siamo nella zona di comfort e più siamo difesi.
Poi ci sono le emozioni di confine: quelle che proviamo perché stiamo uscendo dalla nostra comfort zone. L’ansia è la principale. La vergogna e il senso di colpa sono spesso emozioni di soglia: ci vergogniamo all’idea di esporci oppure ci sentiamo in colpa all’idea di fare qualcosa di diverso dal solito.
Se guardiamo le emozioni da questa prospettiva possiamo facilmente accorgerci che quell’ansia è semplicemente un’emozione di passaggio. Molto probabilmente, finito il passaggio finirà anche l’ansia. Così come la vergogna e la paura. Guardare le emozioni dal punto di vista della nostra disponibilità a coinvolgersi offre anche un altro vantaggio: ci permette di capire meglio come mai, certe esperienze che desideriamo, non ci succedono. Per esempio potremmo capire meglio come mai incontriamo poche persone nuove: magari ne incontriamo poche perché non siamo disponibili a coinvolgerci e non perché non siamo piacevoli.
Ci permette anche di comprendere che siamo in un processo; il coinvolgimento stesso è un processo che richiede di tollerare una certa quota di sorpresa: non sappiamo mai come andrà a finire. Per crescere, cambiare, vivere, alla fine abbiamo bisogno proprio di non sapere come andrà a finire. Invece, quando mettiamo l’etichetta piacevole o spiacevole, ci sembra – illusoriamente – di sapere com’è andata a finire. Ed è allora che smettiamo di essere presente: che peccato!
Tutta la nostra conoscenza riposa in un vasto mare di sconosciuto: sono uno la figura e l’altro lo sfondo. Trovare un equilibrio tra questi due aspetti e con laloro diversa energia è la chiave per espandere la nostra consapevolezza. Estelle Frankel
Pratica di mindfulness: Lavorare con le emozioni
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri: ritiro di bioenergetica e mindfulness