Quando tratteniamo un’emozione le impediamo di svilupparsi nella sua durata naturale. Lo facciamo come forma – impropria – di padronanza dell’azione. Temiamo di esporre o agire quello che sentiamo e quindi ci tratteniamo creando tensione, dissociazione o evitamento.
Forse sappiamo già quali sono gli effetti indesiderati di questa scelta. Conosciamo il sentirsi trattenuti, il senso di oppressione o soffocamento, il disorientamento e la noia che tutto questo produce.
Dimentichiamo però un elemento importante: le emozioni sviluppano altre emozioni perché si accompagnano e sono sostenute da un processo riflessivo interno. Così dalla rabbia possiamo arrivare alla paura o alla compassione. Dalla paura alla curiosità o all’amore, giusto per fare qualche esempio.
Se invece blocchiamo questo flusso l’emozione rimane congelata e non produce altre emozioni, si perpetua nel tempo, si ripete ma non cambia.
Trattenendo quindi impediamo il sorgere della saggezza, lo sviluppo della mente riflessiva, la trasformazione che nasce dalla comprensione. Trattenendo ci impediamo di crescere. Come effetto indesiderato non c’è male…prenderemmo un farmaco che per curarci arresta la nostra crescita?
Lo daremmo ai nostri bambini? Lo consiglieremmo ai nostri amici?
In genere non si riconosce che la repressione di un sentimento ce lo fa temere, lo fa diventare lo scheletro nell’armadio che non si ha il coraggio di guardare. Più lo si nasconde, più incute paura. In terapia si constata che se si apre la porta dell’armadio, ossia se si evoca il sentimento, non è così spaventoso come si prevedeva. La ragione è che non siamo più bambini indifesi: nella maggior parte di noi l’Io è in grado di affrontare i sentimenti con una forza che manca al bambino. Ma per trasformare quei sentimenti non possiamo contare sulla forza dell’io. Dobbiamo contare sulla forza del corpo. Alexander Lowen
Pratica del giorno: Mindful bioenergetics
©Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©GR_private
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