
Nella tradizione buddista le qualità di base della nostra mente originaria – qualità che rimangono sempre intatte – hanno però dei nemici.
In genere vengono definiti nemici lontani o nemici vicini. Tendenzialmente i nemici vicini sono qualità simili ma che intossicano. Mentre i nemici lontani sono l’opposto delle qualità della nostra mente originaria.
La compassione è una di queste qualità. La proviamo tutti spontaneamente, per le persone che amiamo. Il loro dolore risuona in noi e diventa nostro. Possiamo però provarla anche per persone sconosciute. Sappiamo che vedere il dolore degli altri può attivare, nella nostra mente, il desiderio di alleviare il dolore. Mentre vedere un volto arrabbiato non attiva i centri della rabbia e non è detto che ci faccia arrabbiare di rimando. Forse perché la rabbia non è una delle qualità della mente originaria. Possiamo arrabbiarci in risposta, perché ci sentiamo minacciati ma non è automatico.
Le immagini di questi giorni hanno suscitato sicuramente compassione. E il dolore delle persone, anche se estranee, è diventato anche il nostro dolore. Dobbiamo stare attenti però al nemico vicino della compassione che, stranamente, è proprio il dolore stesso. Infatti, quando il dolore diventa soverchiante, non genera più azioni giuste e sconfina nella rabbia, nella vendetta o nella paura. È umano che sia così. Diventa, in questo modo, il nemico lontano della compassione: l’indifferenza.
L’indifferenza è quell’atteggiamento mentale che ci fa credere che ciò che accade agli altri non ci riguardi.
Così oggi avrei una preghiera, rivolta a tutti: facciamo attenzione ad alimentare il dolore. È il mezzo più semplice per nutrire l’indifferenza e la vendetta.
Il dolore ha una dignità che merita rispetto.
La compassione è un verbo perché porta ad un’azione. Thich Nhat Hanh
Pratica di mindfulness: La pratica di gentilezza
© Nicoletta Cinotti 2022
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