
Sono maestra nel perdermi. Google maps con me dà le dimissioni e anche le cartine tradizionali. Mi perdo per curiosità perché vedo qualcosa che mi sembra una deviazione interessante, mi perdo perché faccio fatica a riconoscere i punti cardinali. Mi perdo con allegria nel mondo esterno e ogni volta che mi perdo trovo qualcosa per cui valeva la pena essersi persi.
Questo succede nel mondo esterno. Nel mondo interno ho un sacco di mappe mentali nelle quali mi muovo e condivido con te. Domenica ho condivisi la mappa sulla resistenza psicologica, ossia su come si organizzano le nostre difese partigiane oggi vorrei dirti che differenza c’è tra la mindfulness e la self-compassion perchè a volte siamo un po’ pasticcioni e pratichiamo perchè sappiamo che ci fa bene ma non sappiamo perchè ci fa bene.
La mindfulness ci offre consapevolezza e la consapevolezza è la base dalla quale partire. Possiamo guarire solo quello che sentiamo. La self-compassion ci offre consolazione se e quando la consapevolezza ha portato la luce su un dolore.
La mindfulness regola le emozioni attraverso l’attenzione; la self-compassion attraverso l’affetto. La mindfulness esplora l’esperienza, la self compassion si occupa di chi fa l’esperienza. Possono stare una senza l’altro? Rispondo con le parole di Gregory Kramer, “Quando diventiamo intimi con l’esperienza, quando ci permettiamo di venir toccati dall’esperienza si sviluppa un senso di intimità che rapidamente conduce alla compassione”(comunicazione personale). Questo è quello che avviene nella pratica. Guariamo perchè sentiamo, consoliamo perchè abbiamo sentito.
È l’unico modo per guarire?Non ho una visione monoteista sulla guarigione. Ci sono anche tante forme di cura che saltano la consapevolezza e fanno bene ma la consapevolezza mi fa, ci fa un regalo in più: siamo protagonisti della cura e della guarigione. Non avviene senza di noi ma tramite noi stessi e quindi non possiamo più perderla. Una volta mi curavo con un omeopata che mi dava i granuli chiusi in piccolissimi sacchettini perchè non dovevo sapere quali rimedi fossero. Così, ogni volta dovevo andare da lui per qualsiasi cosa. Funzionava? A volte sì a volte no, come ogni cura. Poi lui ha smesso di curare per raggiunti limiti d’età e io mi sono detta che non avrei più rifatto la stessa scelta.Non avrei più accettato di essere esclusa dalla responsabilità della cura.
Uscire dalla sofferenza significa riscrivere la relazione con la gioia e con il dolore, con noi stessi e con gli altri, attraversare, traghettare. Significa piena accoglienza di qualsiasi cosa ci capiti. Questa accoglienza prepara all’azione, è non agire in attesa dell’azione. Chandra Livia Candiani
Pratica di mindfulness: Non fare ma Stare
© Nicoletta Cinotti 2021
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