
Oggi vi parlo dell’unicità della relazione con il cibo e del MINDFUL EATING, cioè del mangiare consapevolmente.
Cosa ne posso sapere io di cosa succede dentro di te mentre scegli quello che mangerai, mentre metti in bocca il primo boccone, mentre assapori o non assapori una forchettata di pasta, mentre introduci nel tuo corpo un sorso d’acqua. Con che velocità ingoi? Quali sensazioni fisiche affiorano mentre mangi un pomodoro, cosa senti, quali emozioni nascono mentre mangi un gelato, o un biscotto al cioccolato? Tutto ciò SEI TU!
Come mangiamo, quanto mangiamo cosa mangiamo, perché mangiamo, dove mangiamo ci caratterizza molto, caratterizza la nostra identità. Sono unica anche perché mangio in un determinato modo. Questo non significa che se io e te mangiamo sempre le stesse cose, allo stesso orario e in quantità simili, siamo uguali. Se 2 persone stanno insieme e vivono insieme da più di 30 anni e mangiano insieme il più delle volte, di certo non diremmo che sono uguali. E così, neanche la loro relazione con il cibo.
Come mangiamo, quanto mangiamo cosa mangiamo, perché mangiamo, dove mangiamo ci caratterizza molto, caratterizza la nostra identità. Sono unica anche perché mangio in un determinato modo. Questo non significa che se io e te mangiamo sempre le stesse cose, allo stesso orario e in quantità simili, siamo uguali. Se 2 persone stanno insieme e vivono insieme da più di 30 anni e mangiano insieme il più delle volte, di certo non diremmo che sono uguali. E così, neanche la loro relazione con il cibo.
Feuerbach nel 1850 diceva “sei ciò che mangi” e aveva ragione! Non solo diceva una grossa verità chimica, organica, molecolare, in quanto tutto quello che ingeriamo viene trasformato nel nostro corpo per costruire, sintetizzare, ricostruire pezzetti del nostro corpo e per darci l’energia che usiamo per camminare, studiare, digerire, far battere il nostro cuore e respirare, ma diceva anche una altra grande verità: il nostro modo di mangiare, la nostra relazione con il cibo, ci identifica e ci rende UNICI.
E vi dirò di più: chi sono io, ma anche chi siamo noi per giudicare se quello che hai mangiato è giusto o sbagliato?
A questo punto direi che ci vuole un cambiamento di ottica, un cambiamento di paradigma, cioè una rivoluzione in senso Kuhniano del termine!
Mangiare in modo consapevole, cioè praticare il Mindful eating, significa ascoltare la nostra saggezza interna, quella saggezza, quel contatto con il corpo che fisiologicamente abbiamo quando nasciamo e che, pian piano, ma neanche tanto piano, perdiamo. Ci discostiamo dal sentire cosa dice il corpo perché impariamo a dare ascolto ed importanza ad altre voci, quella di nostra madre, di nostro padre, magari di nostra nonna che si preoccupa che non mangiamo mai abbastanza, quella della scuola che ci fornisce porzioni già definite e noi non possiamo scegliere la quantità di cibo che è più adatta a noi in quel determinato momento, e poi, più tardi, quella della pubblicità, quella di chi ci prende in giro, quella dei compagni, amici, fidanzati, mariti.
E, immaginate voi, io, da nutrizionista, dopo aver studiato per almeno 12 anni, tra laurea, specializzazione, dottorato, master e via dicendo, quanti condizionamenti ho riguardo il cibo: questo si deve fare e questo NON si deve fare. Questo è bene e questo è male! A volte funziona, a volte no. A volte quello che è “bene” è in sintonia con il mio corpo, con i miei bisogni del momento, con il mio stomaco, a volte no!
E allora la rivoluzione dov’è?
Nel mio lavoro quello che cerco di fare è aiutare le persone. Mi metto in ascolto e cerco di capire come poter accompagnare una persona in un percorso di cura di se stessa, spesso in un processo di cambiamento.
Quello che ho imparato durante i lunghi anni di studio sono le caratteristiche nutrizionali degli alimenti, le combinazioni ottimali, quali sono le abitudini alimentari più consone ad un determinato periodo della vita o di fronte ad una determinata condizione patologica. Ma questo non basta. Spesso le persone mi parlano di volontà, di forza di volontà, perché bisogna avere tanta forza di volontà per seguire uno schema dietetico (uno schema appunto!), un piano alimentare, io per essere meno invadente lo chiamo menù. Ma uno schema dietetico è sempre uno schema dettato dall’esterno, anche se, noi nutrizionisti ci sforziamo ad andare più vicino possibile alle abitudini alimentari e di vita che la persona ha nella sua vita.
Non metto in dubbio che ci voglia forza di volontà. In realtà la chiamerei più “disciplina” che “forza di volontà”. Per effettuare un cambiamento ci vuole sempre un po’ di disciplina. Ma la disciplina di cui parlo non è la disciplina ad ascoltare un FUORI, ascoltare qualcuno che ti dice cosa devi e cosa non devi mangiare, in che quantità, a che ora e magari anche con chi….. La disciplina è nell’imparare ad ascoltare un DENTRO, cioè il nostro corpo, le nostre emozioni e i nostri pensieri.
A proposito di pensieri, vi siete mai chiesti quanti pensieri produciamo rispetto all’alimentazione. Forse mentre stai leggendo ti stai dicendo “no, questo non mi riguarda, non sta parlando di me, io non penso mai al cibo, non è una cosa che mi interessa, mangio solo perché mi devo sfamare”. Se stai pensando questo, sappi che anche tu produci pensieri riguardanti il cibo per circa 2 ore al giorno.
Ti risuonano pensieri del tipo “cavolo, più leggo, più mi viene fame!”, cosa posso mangiare quando ho finito di leggere questo post?”, “bè certo mi andrebbe proprio una fetta di pane e nutella, ma non me lo posso proprio permettere”, oppure “appena finisco di leggere mangio l’ultimo biscotto al cioccolato e poi decido che per una settimana non tocco dolci” ecc.ecc.ecc.
E questo è solo un pochino di quello che la nostra mente può produrre ora, in questi minuti riguardo questa circostanza particolare.
Immaginatevi quanti pensieri la nostra mente produce durante tutta la giornata, colazione, pranzo, cena, vari spuntini, quante decisioni deve prendere, e soprattutto quante critiche fa e quanti giudizi emette! Devi mangiare questo, non dovresti, ecc. Il mio preferito è “mangia ora, una porzione un po’ più grossa di quel che il tuo stomaco ti sta dicendo, anche se non hai fame, perché non potrai mangiare per almeno 4 ore”!
Tutto ciò per dirvi che mentre Feurbach diceva “MANGIO, QUINDI SONO!” Cartesio 2 secoli prima aveva detto “Cogito, ergo sum!” e noi occidentali abbiamo sempre dato molto credito a Cartesio, identificandoci spesso totalmente con i nostri pensieri.
E allora, la rivoluzione dov’è?
La rivoluzione è il Mindful Eating, cioè equilibrare il rapporto mente-corpo, dando più dignità alle sensazioni corporee e facendo pesare di meno i nostri pensieri, facendo dimagrire i nostri pensieri. Dare ascolto allo stomaco, alle cellule, momento per momento, senza giudizio.
Credo, almeno per me così è stato, l’affermazione “senza giudizio” fa veramente la differenza. La mia maestra Jan Chozen Bays, che è l’autrice del libro Mindful Eating, appena uscito in italiano sotto la mia curatela con la Casa editrice Enrico Damiani, quando le ho comunicato che la traduzione italiana del suo libro aveva visto la luce mi ha scritto “Grazie mille per far conoscere il Mindful Eating agli italiani. Il nostro goal è lo stesso, fare il possibile per portare sollievo alla non necessaria sofferenza delle persone che fanno fatica, che hanno una relazione complicata con il cibo”.
Ebbene sì, una sofferenza spesso non necessaria, dovuta a sensi di colpa, a cercare di soddisfare una voglia di intimità, di condivisione, di bellezza, ma anche di coccole, o un bisogno di sfogare la rabbia, l’insoddisfazione, l’irrequietezza con un mezzo che spesso, a volte non è quello più idoneo. Quante volte ci capita di trangugiare mezza tavoletta di cioccolato e sentirci dopo più tristi di prima? Di fare a morsi un panino col salame e sentire la stessa irrequietezza di prima?
E allora, la rivoluzione dov’è?
Il mindful eating ci propone un’altra strada: quella della consapevolezza, quella del fare pausa e ascoltare e osservare senza giudizio, quindi quella della lentezza e della bellezza, una strada fatta di sapori, odori e gusti, forme, colori e suoni con un condimento essenziale: il perdono!
E come tutti i cambiamenti ci vuole tempo: un passo alla volta, un respiro alla volta, un boccone alla volta!
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Quando sei infelice scopri a cosa ti stai aggrappando e lascialo andare. Jan Chozen Bays
© Paola Iaccarino Idelson