
La paura è come un nocciolo duro dentro. Dentro il torace. Un nocciolo che può rendere inflessibili. Siccome siamo spaventati ci induriamo per non perdere quel poco terreno stabile che ci sembra di avere. Ci aggrappiamo a qualunque cosa: anche alla più inutile.
I muscoli che si attivano nel caso della paura sono gli stessi che si attivano quando proviamo rabbia: è per questo che, a volte, quando ci spaventiamo sembriamo arrabbiati. La rabbia, si sa, nasconde sempre un’altra emozione e, spesso, l’emozione che sta sotto la rabbia è la paura. Quando abbiamo paura non siamo vulnerabili: siamo fragili come tutte le cose dure. Basta poco per spezzarci. Quella durezza offre un’illusione di forza ma è solo un’illusione: scambiamo per forza i muscoli contratti e, invece, quella è paura. Paura grande. A volte grandissima. Quando passa la paura i muscoli si allentano e ritorniamo vulnerabili, cioè aperti. Il nocciolo diminuisce di dimensioni. A volte sparisce. Prima o poi torna perché la paura è un’emozione fisiologica. Sono le conseguenze di un eccesso di paura, protratto nel tempo, che diventano patologiche. La paura in sé e per sé non è patologica. Il nocciolo duro se è grande ci fa diventare inflessibili; è patologico perché ci sottrae apertura e vulnerabilità
Quando abbiamo paura il nocciolo duro diventa una forma di controllo. Lo sappiamo benissimo che controllare non migliora le cose ma il nocciolo duro ci spinge a farlo e noi ubbidiamo, come se quella fosse la salvezza. Controlliamo il cellulare, il computer, il diario. Controlliamo per sapere se quello che temiamo è vero. E qualcosa che ci sembra vero lo troviamo sempre. Qualcosa che complica la vita è sempre dietro l’angolo. Perché il sospetto è figlio della paura. Ma il fondamento di qualsiasi relazione d’amore o d’affetto è il prendersi cura, la condivisione, la connessione. Controllando siamo i primi che attacchiamo su tutti e tre questi fronti: molto probabile che riceveremo in cambio un contrattacco. Perché non fermarsi prima e riconoscere che abbiamo paura? Perché non dare un nome alla nostra paura? Magari un nome divertente e simpatico. Possiamo rendere più simpatica la paura, una sorta d’esorcismo in cui ricordare che uomini e donne hanno paura. Ma le donne la esprimono, gli uomini la congelano.
Anche Dante all’Inferno ha paura: ha paura quando entra; ha paura quando attraversa lo Stige. È la paura che lo spinge ad iniziare il suo viaggio; ha paura di fronte ai diavoli di Malebolge. In fondo anche noi, quando abbiamo paura, siamo all’inferno. Anche noi cerchiamo la strada verso il Paradiso. Il controllo però non è la soluzione: è un altro dei figli della paura.
I confini tra la paura e le altre emozioni non sono ben definiti (…)rabbia, disgusto, odio e orrore contengono tutti elementi di paura. La gelosia può essere intesa come paura di perdere il proprio partner; la colpa può essere il timore della punizione di Dio; la vergogna può essere la paura dell’umiliazione. La storia della paura sarebbe insignificante se tutti gli stati emotivi negativi fossero classificato come “realmente” stati di paura. Joanna Bourke
Pratica di mindfulness: Lavorare con la paura
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri: ritiro di bioenergetica e mindfulness 27 – 29 Settembre