
Vedere una conchiglia può farci venire in mente molte cose: vacanze al mare, il viaggio in cui l’abbiamo comprata, le storie della nostra infanzia o le storie delle nostre vacanze. Ma con quella stessa conchiglia possiamo fare un’altra cosa, abbastanza diversa. Possiamo sentirne la tessitura, l’odore, il peso, guardarne il colore e portarla all’orecchio per scoprire quel misterioso suono del mare che ogni conchiglia contiene dentro di sé.
Se nel primo caso, quando ne hai immaginato la storia, hai attivato la fantasia, la memoria narrativa e i tuoi pensieri sono andati velocemente verso la narrazione, nel secondo caso hai attivato la percezione e il ritmo lento dei sensi. Ti sei preso uno spazio per ascoltare, per sentire. Hai rallentato la velocità dei pensieri e aumentato la lunghezza del respiro. Sei entrato nel corpo, mentre prima eri prevalentemente nella mente.
Questo esempio illustra come funziona il registro della mente narrativa e il registro della mente sensoriale.
Due registri sempre attivi anche quando non siamo a scuola.
Questi due registri – quello della mente sensoriale e quello della mente narrativa – sono sempre attivi e in relazione tra di loro, solo che, con lo sviluppo della nostra mente narrativa, il registro sensoriale tende a rimanere soffocato. Il registro sensoriale parla una lingua delicata e profonda che richiede un ascolto lento. La nostra mente narrativa è una gran chiacchierona che presume sempre di sapere bene come sono andate le cose e ce le racconta un po’ a modo suo. A volume alto. A volte proprio per non far sentire la voce della mente sensoriale.
Noi però abbiamo iniziato a parlare grazie al registro sensoriale. Siamo stati prima ad ascoltare e poi abbiamo sperimentato i suoni con pochi balbettii e infine abbiamo pronunciato le prime parole. Parole che erano insieme una piccola storia. Mamma, secondo l’intonazione, diventava mamma prendimi in braccio o mamma voglio l’acqua. Tutto questo accompagnando gesto e parola. Nei primi tre anni di vita il nostro linguaggio è ancora gestuale, oltre che verbale, ed è il paziente insegnamento dei genitori che ci convince ad abbandonare quel linguaggio gestuale – così espressivo e immediato – che tutti conosciamo e, in parte, manteniamo, soprattutto nelle comunicazioni intime.
Cosa succede quando il disco si incanta.
Ci sono delle situazioni in cui rimaniamo bloccati. Situazioni in cui ci sembra di essere uno di quei LP che girano a vuoto e rimangono incastrati sempre nello stesso punto. Sono i momenti in cui la nostra vita sembra essere la ripetizione delle solite storie. In questi casi vuol dire che quella saputella della nostra mente narrativa ha bisogno dell’ascolto, attento, della mente sensoriale. Perché, se e quando rimaniamo incastrati, essere sempre ad ascoltare le solite storie della mente narrativa può produrre un effetto piuttosto controproducente. Può rinforzare le nostre difese, ri-attivare i nostri traumi, spingerci a rimanere incastrati invece che in grado di andare avanti.
È allora che dobbiamo cambiare registro e tornare all’ascolto – corporeo, poco verbale, sensoriale, lento – della nostre mente sensoriale. È in questi momenti che, anziché perdersi in tante parole, abbiamo bisogno di metterne a fuoco poche ma buone per scoprire che cosa ci trattiene dal cambiamento. Perché, diciamoci la verità, il cambiamento è un processo naturale: si chiama crescita. Se rimaniamo incastrati vuol dire che c’è qualcosa che non funziona dentro di noi.
Una grammatica valenziale
Se le storie hanno una trama, un prima e un dopo, la mente sensoriale ha delle parole chiave che brillano in una rete di connessioni associative. Dobbiamo trovare queste parole attraverso l’ascolto di noi stessi, attraverso la meditazione, attraverso il lavoro corporeo, per riconoscere la valenza e l’intensità affettiva di queste parole. Certo, sarebbe molto più facile costruire una storia. Magari la solita storia e con i soliti colpevoli. Hai notato che nei gialli il colpevole è sempre il maggiordomo? Anche in Parasite – il film coreano in programmazione in questi giorni – il colpevole è nel personale di servizio. Nella nostra mente narrativa il colpevole è nella nostra famiglia o nei nostri amanti. Sempre gli stessi delitti d’amore, sempre gli stessi colpevoli. È così che possiamo crescere? Così che possiamo cambiare? Certo il pubblico può rimanere entusiasta della storia che raccontiamo e del suo svolgimento e della parte di eroico combattente che abbiamo ricoperto – magari per trent’anni. Ma ci basta per cambiare? O è solo una geniale forma di rassicurazione?
La grammatica della mente sensoriale ci dice qual è il motore della storia che raccontiamo e ci insegna come scrivere storie diverse. Storie in cui abbiamo la possibilità di essere registi e non solo attori a soggetto.
Perché scrivere, perché le parole?
Noi siamo dotati di linguaggio: non solo noi a dire il vero. Anche gli animali hanno delle forme di linguaggio e c’è chi afferma che anche le piante hanno delle forme di comunicazione con l’ambiente. Non potrebbe che essere così: tutto ciò che è vivente comunica, è in dialogo. Cambia la complessità del dialogo che possiamo costruire. Noi, dotati di parole, e corpo, possiamo costruire un dialogo ricchissimo. Questo vuol dire anche un’altra cosa – implicita – ciò che è vietato alla comunicazione è vietato alla vita. Le parti di noi che non trovano espressione appassiscono. Le parti di noi che trovano forme espressive crescono e fioriscono, appassiscono e nascono in nuove forme espressive. Cosa diremmo di un autore che racconta sempre la stessa storia? Compreremmo il primo romanzo, il secondo e poi diremmo basta perché riconosceremmo in quella ripetizione una mancanza: la mancanza della vitalità. La mancanza della vitalità espressiva.
Adesso prendi un testo, un testo qualunque: dal compendio di un sito che parla di tende da sole al volume di un narratore. Non sarà solo il contenuto a tenerti agganciato a quel testo. Sarà la sensorialità delle parole – la scrittura smagliante – che lo compone e che costruisce l’architettura dell’informazione. Non c’è contenuto senza bellezza – umana e non solo estetica – delle parole. Il contenuto solletica la nostra mente narrativa ma quello che ci tiene attenti, senza noia o avversione, sono le parole che lo compongono, che tengono ancorata la nostra mente sensoriale.
Mentre gli occhi leggono parole, la mente vede immagini, si anima di voci: è la più antica forma di multimedialità. Più incisiva e memorabile del carosello di foto e video che ci gira intorno perché il teatro mentale creato dalla parole è solo nostro. E più le parole sono varie e precise, più vivido e animato è il teatro. Luisa Carrada
Noi abbiamo bisogno di esprimerci: se una parte di noi ha divieto d’espressione muore. Le forme espressive sono tante. Nessuna può prescindere dal corpo.
L’anarchia narrativa
Nella nostra ricerca d’espressione mente sensoriale e narrativa si mischiano. Diffida però di una narrazione che non nasca dalla mente sensoriale. Una narrazione di cui non conosci i meccanismi potrebbe essere semplicemente l’ennesima messa in scena delle tue difese. Costruisci un puzzle in cui spiragli nati dalla mente narrativa e dalla poetica della mente sensoriale si mischiano. Entra in quello che sembra essere lo stile espressivo del terzo millennio. Un millennio in cui tutti scriviamo – a volte testi bellissimi in brevi tweet – e in cui abbiamo bisogno di entrare nella creatività e di uscire dalla ripetizione. Non a caso autrici di rilievo internazionale, come la recente vincitrice del premio Nobel Olga Tokarczuk,e Rupi Kaur scrivono testi in cui l’insieme frammezzato di brani poetici e narrativi va a costruire una trama armonica ma varia, proprio come la trama della nostra vita. La coerenza narrativa è una regola imposta dalla mente. La vita è discontinua e mutevole, un misterioso regista che si diverte a scompigliare le carte. Fatti vivo della nostra Chandra Livia Candiani, può essere letto come una raccolta di poesie ma, se lo assapori nella sua continuità, ti accorgi che è, invece, una biografia, dolorosamente sentita.
Un libro: dei laboratori
Molti mi chiedono se basta il mio libro “Scrivere la mente” per entrare nella grammatica valenziale della mente sensoriale. Il libro delinea il percorso con cui arrivo ad affermare quello che racconto poco sopra. Offre degli strumenti per iniziare ad esercitarsi. Per chi ha già fatto uno dei laboratori è un ottimo complemento. Per chi non l’ha ancora fatto un ottimo assaggio. Ma nella bioenergetica e nella mindfulness le parole non bastano perché quello che conta è l’esperienza. L’esperienza in prima persona. Quando entriamo nell’esperienza riportiamo a galla la nostra mente del principiante. Se sei una persona che vuol già sapere prima cosa succederà e come andrà a finire, lavorare sulla mente sensoriale è uno scalino che disorienta. Suscita domande ma le risposte sono dentro di te. Cerchi una storia e ti restituisce una poesia. La tua.
Se sopporti di rimanere nel “conosciuto non pensato” ed avere delle chiavi per esplorarlo, se accetti di farlo più volte e di non accontentarti del giudizio veloce che ha sempre la funzione di confermare quello che sappiamo già, troverai un modo completamente nuovo di scrivere ma, soprattutto, di vivere. Un modo completamente nuovo di leggere l’esperienza. Con la leggerezza che abbiamo quando non rimaniamo incastrati nelle solite storie, quando non raccontiamo i soliti contenuti, quando planiamo sulla nostra vita dall’alto, con la leggerezza dell’uccello e non quella della piuma.
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© Nicoletta Cinotti