
Spesso siamo immersi nel significato storico della parola intimità. Siamo intimi perché conosciamo qualcuno da tempo, perché abbiamo attraversato insieme secoli di storia. Questo aspetto storico dell’intimità permette di rivelare tante cose ma altrettante ne nasconde. Ci fa dimenticare quali sono i gesti che costruiscono intimità. Ci fa essere distratti su come entriamo in relazione con gli altri e rende scontati aspetti che non sarebbero da considerare così ovvi.
L’intimità storica apre il tema della verità con uno spessore diverso e unico: ci rende scrupolosi nello scegliere cosa dire e quanto dire. È come se nell’intimità diventasse più importante non ferire l’altro, più importante immaginare come potrebbe reagire alle nostre parole, che esplorare con sincerità quello che ci appartiene. In questo modo, in nome della relazione, spesso iniziamo a diminuire noi stessi: ci facciamo da parte credendo che questa sia una forma di rispetto nei confronti dell’altro. Non lo è: è una forma di svalutazione nei confronti di noi stessi.
Nell’intimità che nasce con una persona appena conosciuta in un protocollo, nell’intimità condivisa con un compagno di pratica, questo equilibrio si inverte. Diventa prioritario esplorare sé stessi per sapere cosa dire all’altro. Molto secondaria è la preoccupazione di come l’altro potrebbe reagire. Ci troviamo casomai davanti alla nostra paura del giudizio altrui ma non è più velata dalla convinzione di sapere cosa l’altro penserà di noi. Siamo davanti ad uno specchio che, proprio perché sconosciuto, diventa neutro. Così l’intimità svela a noi stessi idiosincrasie e inclinazioni, gusti e preferenze, ossessioni e paranoie che non possiamo più attribuire all’altro proprio perché appena incontrato. Ritiriamo le proiezioni e ci troviamo a fare i conti con quella macchina da guerra della nostra mente: quella che ci difende e che, molto spesso, lo fa a prezzo di offendere la nostra intelligenza del cuore.
L’intelligenza del cuore è quel modo, unico e tenero, che un bambino ha di protendersi al mondo e alla vita. Sa che la sua stessa sopravvivenza dipende da come riuscirà a catturare una risposta ma, non per questo, è disponibile ha rinunciare ad affermare i suoi diritti e i suoi bisogni, come facciamo poi da adulti. L’intimità che chiede un bambino è onesta, non strumentale: è quella dell’intelligenza del cuore. Una intelligenza che spesso perdiamo man mano che diventiamo più intelligenti nella mente. Nella pratica possiamo tornare ad ascoltare la nostra mente-cuore e scoprire così, attraverso lo sconosciuto, il conosciuto non pensato di noi stessi e portarlo nelle nostre relazioni storiche, così intelligenti ma, molto spesso, così prive dell’intelligenza del cuore.
Al centro di ciascuna persona, c’è un elemento segregato, e questo è sacro ed estremamente degno di essere preservato.Donaid Winnicott, Comunicare e non comunicare
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del corpo
© Nicoletta Cinotti 2019 Scrivere la mente nel territorio dell’amore