
Maria è una donna precisa, tanto precisa da apparire un po’ inibita. Ci conosciamo da tempo ed è una persona sulla quale puoi sempre contare perché, oltre che essere precisa, è affidabile. Tempo fa è arrivata in seduta allegra e spettinata. Si è seduta e mi ha detto “Lei perfeziona l’imperfezione!” Io ero abituata ad essere sempre controllata, sempre perfetta e, invece, mi ritrovo a fare delle cose spontanee e senza il solito autocontrollo. Divento imperfetta ogni giorno di più! Sembrava un lamento ma in realtà lo diceva divertita e di lì a poco mi avrebbe raccontato cosa aveva combinato. In realtà niente di grave e tutto molto umano. Però Maria coglieva, nella sua ironia, un aspetto vero. In qualche modo il processo terapeutico (qualsiasi processo che abbia finalità terapeutiche) scioglie le maschere, le armature, i nascondigli che ci mettiamo addosso.
Non è un atto magico: semplicemente passiamo dal dominio dell’IO – pieno di doveri, muscoli e volontà – all’ampiezza del Sé che, di spontaneità si nutre. Nel farlo lasciamo allentare le forze inibitrici e questo aumenta la possibilità di “sbagliare” ma aumenta anche il piacere, la vitalità, la soddisfazione di essere vivi.
Il Sé ha un luogo: quel luogo è il respiro. I muscoli – ossia l’Io – possono contrarsi fino a limitarne l’ampiezza e la lunghezza ma non possono annullare la sua costante, sottile e vitale presenza. Non possiamo vivere senza respiro. Così, anche l’Io più severo un po’ di respiro deve lasciarcelo. Quando iniziamo a lavorare con il corpo o a portare l’attenzione al respiro con la pratica di mindfulness, restituiamo fiducia al nostro Sé, detenuto agli arresti domiciliari dal nostro autocontrollo o dalla nostra volontà. Così lui riacquista forza, la forza di essere spontanei, creativi, liberi. A volte blocchiamo questa spontaneità con la nostra to do lists, la fatidica lista di cose da fare. Fino a che siamo occupati dalle cose da fare non possiamo scherzare: obbediamo agli impegni e poi – ci raccontiamo – quando avremo fatto tutto saremo liberi. In realtà liberi di essere così stanchi da andare a dormire per ritrovare un po’ di forze.
Ha ragione Maria: questo non ci rende perfetti. Quando siamo vitali abbiamo meno controllo e possiamo fare più errori e imprecisioni. Piuttosto perfeziona la nostra imperfezione e ci rende felici. Le ho chiesto se, a questo punto, voleva tornare ad essere perfetta e lei ridendo mi ha risposto: “No, preferisco perfezionare l’imperfezione e amarmi come sono“. Forse quella di Maria è una buona idea. Non so esattamente cosa significhi perfezionare l’imperfezione: forse vuol dire percorrere quei varchi, quelle aperture che la nostra spontaneità ci mostra.
Il processo terapeutico, che ha lo scopo di favorire o di accrescere l’essere o il Sé del paziente, comporta un lasciar andare di queste azioni inibitrici, il che permette al flusso dell’eccitazione di scorrere liberamente. Con la terapia il paziente impara a sciogliere il fare che blocca il flusso. Non è un modo di imparare come essere ma come non fare. Alexander Lowen
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2019 Paura di vivere: ciclo di gruppi terapeutici: Stay tuned!