
A volte si hanno convinzioni che la realtà non conferma. Ero convinta che il tema della self compassion avrebbe suscitato tantissimo interesse, forse perché sono convintissima della sua importanza centrale per poter mantenere viva la pratica di mindfulness. Il ritiro ha confermato le mie convinzioni ma non avrei mai creduto che il tema della vergogna sarebbe stato interessante per molte persone. Si ha sempre la convinzione – falsa – che gli altri non abbiano questo problema. La mia convinzione non è stata confermata. Così quando ieri ho pubblicato l’articolo – collegato a quello della vergogna – sul coraggio e sulla paura (un articolo non semplicissimo) ero altrettanto convinta che il tema sarebbe finito nel dimenticatoio dopo poche visualizzazioni. Però, mi sono detta, è un argomento importante: pazienza se non lo leggerà nessuno. Ho sbagliato di nuovo. Allora, mi sono detta, siamo davvero tutti sulla stessa barca.
La barca della vulnerabilità; una vulnerabilità data dalla folle convinzione che ci sia in noi qualcosa per cui non siamo meritevoli di ricevere amore. Che alla fine, le nostre malattie, i nostri insuccessi, i nostri fallimenti siano colpa di un qualche difetto – misterioso, segreto e irrimediabile – per cui prima o poi verremo scoperti e cacciati dal Paradiso (ti ricorda qualcosa questa storia?). Certo il Paradiso ha sembianze diverse per ognuno di noi: per qualcuno è una posizione professionale alla quale teniamo molto, per altri una relazione, per altri ancora una condizione emotiva. Tutti noi abbiamo l’idea di dover fare qualcosa di speciale per rimanere in quel Paradiso e che se verremo buttati fuori sarà un disastro. Perché sarà tutta colpa di quel nostro difetto e non di un insieme di circostanze che non possiamo controllare.
Però quello che ha reso davvero interessante quella breve storia sulla mia vergogna era che quella storia aveva un’anima. Non avevo teorizzato sulla vergogna, non avevo dottamente pontificato (come saprei fare ) sul perché e percome. No, mi sono limitata a farti vedere la mia anima vulnerabile. Erano dati che costruivano una storia e quella storia aveva un’anima: la mia. È lì che ci siamo incontrati, su quel terreno franoso della vulnerabilità. Un terreno in cui è facile incontrarsi a patto che sia qualcun altro ad iniziare. Allora, in quel momento, possiamo dire “anch’io” e non sentirci più esclusi: sappiamo che almeno un’altra persona è nella stessa situazione. Ecco perché è importante dire la verità: perché permettiamo che l’autenticità delle nostre storie, della nostra vita, richiami l’autenticità della vita degli altri. Non è una vera protezione tenere nascosta la nostra vulnerabilità. Ci fa sentire sempre sul punto di essere scoperti.
Nel momento in cui la mostriamo nessuno può più scoprirci perché l’abbiamo fatto noi. Ci vuole coraggio? Certamente non il coraggio del guerriero, non il coraggio del capo-branco che è pronto alla lotta. Come dice Brenè Brown è necessario capire che la vulnerabilità non è debolezza. È onestà, disponibilità a coinvolgersi. Forse è una misura del coraggio di esporsi. È creatività e disponibilità al cambiamento.
Per me, soprattutto, è disponibilità a non tirarsi indietro, in un posto che è solo falsamente comodo e sicuro. La vulnerabilità è quel sentimento acuto che proviamo quando ci siamo impegnati e coinvolti a fondo, con tutta l’anima, e abbiamo perso. O semplicemente non abbiamo la certezza di come andrà a finire. E ci sentiamo esposti. È la paura di essere vulnerabili che ci fa tirare indietro e non rischiare – non rischiare di esporsi, di amare, di essere della nostra esatta dimensione – Quella non è la sicurezza che cerco. La sicurezza è sapere che, sulla vulnerabilità, io sono come te, come tutte le altre donne e come tutti gli altri uomini. La vulnerabilità non è una questione femminile: riguarda anche gli uomini. Che possono buttarsi anima e corpo in qualcosa e non vincere. La sicurezza per me è sapere che non proverò disprezzo per un uomo che è vulnerabile, proprio come non proverò disprezzo per una donna che è vulnerabile: apprezzerò il loro coraggio e la loro autenticità. Apprezzerò che non si sono tirati indietro, malgrado il rischio, proprio come apprezzo che non mi sono tirata indietro: qualche volta è andata bene e qualche volta no. Credo che dietro questo coraggio e autenticità stia una forza incredibile: la forza che viene dall’essere sé stessi. Questo è il mio femminismo.
Non puoi educare dei bambini ad essere più resilienti alla vergogna di te. Perché anche se li educhi cercando di insegnargli ad avere una buona autostima, insegnandogli ad apprezzare come sono, anche in questo caso, loro non tratteranno mai sé stessi meglio di quanto fai tu con te stesso. Questa è sia una buona che una cattiva notizia: non possiamo dare ai nostri bambini qualcosa che non abbiamo. Possiamo solo essere gli adulti che speriamo che loro diventino. Brenè Brown.
Pratica di mindfulness. Self compassion breathing oppure la meditazione delle 8 su FB
© Nicoletta Cinotti 2019 Cambiare diventano se stessi: lasciar andare e non rimuginare Photo by Paulius Dragunas on Unsplash