
Il lavoro da casa può essere una gioia o una prigione. Una gioia perché non ti devi lavare-vestire-truccare e una prigione perché non ti devi lavare-vestire-truccare. Proprio così, Giano bifronte.
Io in casa sto in tuta, perché non riesco a lavorare con i jeans che mi stringono la pancia, ma non esiste che non mi lavi-vesta-trucchi. Me lo impongo, ma, come sappiamo bene noi mamme, me lo impone l’immagine di fatica che spesso mi rimanda lo specchio. Anche il peggior verde della pelle di una mamma reclamata a gran voce nella notte si nasconde con un buon fondotinta. Non è obbligatorio truccarsi, dai, sto esagerando. Ma è obbligatorio tenersi in ordine, come dicevano le nostre nonne: farsi la tinta quando la ricrescita si vede o darsi una passata di burro cacao anche per andare a prendere i bambini a scuola. L’attitudine ad avere cura di noi, anche se lavoriamo in casa, ci allena ad avere cura di noi da qualsiasi parte: quando saremo in una riunione circondate da maschi e femmine belli, palestrati e in carriera; quando andremo a parlare con le maestre a scuola; quando dovremo prendere una decisione delicata. Quello che voglio dire è che tenersi in ordine corrisponde ad assecondare l’istinto di conservazione: farsi la piega prima di un colloquio delicato è pari a brandire un tizzone infuocato per tenere lontano i lupi. Ci aiuta a difenderci da chi non ci rispetta o dai pensieri negativi ciclici che ci colpiscono perché siamo stanche, sfiduciate, ci vediamo grasse e senza prospettive allettanti davanti. Non mi vergogno ad ammetterlo: a me succede, e non così raramente. In questi casi l’unica è reagire: lavarsi-vestirsi-truccarsi diventa il primo passo per disinnescare la bomba. Succede come quando ti sforzi di sorridere: la prima volta ti sforzi, la seconda ti sforzi ancora, la terza ti sforzi ma non è poi così difficile e la quarta ti scopri a sorridere fuori e dentro.
Importantissimo imparare a farlo quando sei diventata mamma da poco, importantissimo. I periodi dopo i parti io me li ricordo come un incubo. Nei primi tre mesi mi sono data una tregua, non potevo fare altro. Dopo il primo, avvenuto in maniera «naturale», ho deciso che il secondo sarebbe stato molto artificiale. Ma il post partum non è cambiato di molto: entrambe le volte tristezza, lacrime, fatica, mancanza di sonno; insomma, tutte le cose che le mamme e i papà conoscono benissimo. Ma dopo i tre mesi mi sono presa in mano. Sappiamo che per i freelance il detto «lontano dagli occhi lontano dal cuore» si addice molto bene al rapporto con i propri clienti. Non avendo una cadrega che ci aspetta, dobbiamo sparire il più tardi possibile, prima, e ricomparire il prima possibile, dopo. Io ho impiegato i soldi della maternità dell’INPS per accaparrarmi una tata.
All’inizio solo qualche ora di compresenza (anche perché non riuscivo a lasciare i miei figli), poi un paio d’ore d’aria, poi 9-12, ai sei mesi 9-16. Per chi ha una batteria di nonni a disposizione, ancora meglio, ma in ogni caso sugli orari non si può transigere. Bisogna riconquistarsi quella dimensione personale che, quando nasce il bambino, giustamente, si è messa da parte. Significa ricominciare a camminare, a darsi la crema sulle gambe, a farsi la ceretta regolarmente, a riprendere la lettura e, soprattutto, a scoprire quanto è andato veloce il mondo nei mesi in cui ce ne siamo state rintanate. Perché il mondo non si è fermato mentre noi allattavamo e occorre rimettersi in circolo. Qui la strategia è il distacco, distacco dal bimbo piccolo (che non significa abbandonarlo); distacco da una figura trasfigurata di noi che da mamme dobbiamo ritornare donne, e poi donne e mamme che lavorano. In questo caso, lavarsi-vestirsi-truccarsi è un imperativo categorico perché, lo dico di nuovo, è il primo semplicissimo passo per iniziare la propria emancipazione.
Quando Ada aveva quattro mesi ho passato le mie prime due ore d’aria a piangere in via Po. Camminavo, parlavo al telefono con mia mamma e le dicevo quanto mi sentivo cattiva a lasciare a casa la mia bimba piccola pur non avendo niente di importante da fare. Per fortuna mia mamma, gran donna, ha avuto la forza che a me in quel momento mancava. «Lo stai facendo anche per lei» mi diceva. Non era vero che non avevo niente di importante da fare: dovevo ritornare a essere una persona inserita nel mondo, che avrebbe dovuto aiutare, un giorno, sua figlia a capire tante cose. © Annamaria Anelli Terzo tempo
©www.nicolettacinotti.net per la Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”
Annamaria Anelli sarà con noi a “La bellezza delle parole: il viaggio interiore il percorso professionale” nella giornata di Domenica 1 Dicembre