Nella parola bio-energetica c’è un forte riferimento al concetto di energia. E spesso, tra colleghi, la parola energia diventa una specie di salvacondotto per definire la bontà dell’intervento che è stato fatto con un paziente.
Desideriamo, infatti, che l’energia del paziente aumenti, almeno nella maggior parte dei casi, e che il paziente sia padrone della propria energia.
In tanto slancio spesso ci dimentichiamo però di definire cosa significa “energia” in bioenergetica
Una definizione
Per Reich il processo energetico è espresso dal ritmo pulsatorio di contrazione ed espansione, connesso al battito cardiaco e al respiro. L’espansione si verifica in condizioni favorevoli e la contrazione in condizioni opposte. Il ritmo pulsatorio dà origine alla motilità. Lo svolgersi del processo energetico non è volontario ma è legato alla risposta del sistema nervoso autonomo.
Lowen, partendo dalla stessa base, afferma che il processo con il quale ci colleghiamo al mondo esterno è un processo energetico che si esprime attraverso il protendersi e il ritirarsi dal contatto relazionale, oltre che attraverso i movimenti. Per Lowen quindi lo spazio di intenzione e consapevolezza, per aumentare l’energia della persona, è molto più grande. E viene portato avanti sia attraverso il lavoro sull’espressività – che aumenta la carica energetica – che attraverso l’elaborazione degli aspetti relazionali di protensione e ritiro.
L’energia, il movimento e respiro
Il movimento è direttamente influenzato dal livello energetico della persona: se abbiamo poca energia, non siamo molto motivati a muoverci e, nello stesso tempo, più stiamo fermi e più può risultarci difficile iniziare a muoverci, soprattutto se siamo in una situazione di esaurimento. Cosa possiamo fare per uscire da questa situazione? E come possiamo usare questo elemento sia in modo diagnostico che clinico?
La risposta della bioenergetica è semplice ma non banale: è necessario lavorare sul respiro per aumentare il livello energetico della persona. E, inoltre, lavorare sul respiro ci permette di comprendere quelli che sono i blocchi muscolari e, infine, di fare una analisi caratteriale. Perché il respiro è ciò che fornisce il combustibile alla nostra attività quotidiana. Inoltre, osservando il respiro, possiamo avere subito una visione chiara di quelli che possono essere i blocchi muscolari presenti.
Durante l’inspirazione il movimento del corpo va verso il basso e leggermente all’indietro per accompagnare la discesa del diaframma che permette l’estensione dei polmoni, nella direzione in cui si verifica minore resistenza. L’abbassamento del diaframma solleva le ultime costole, muovendo i muscoli intercostali. Il petto si apre, anche se, nella respirazione naturale, l’inspirazione produce maggiore movimento nell’addome. Questo tipo di respiro porta alla massima quantità di aria con il minimo sforzo. Anche la pelvi partecipa all’inspirazione, ruotando leggermente all’indietro, in modo che la cavità addominale sia spaziosa.
Con l’espirazione, si muove leggermente in avanti, in modo che tutta l’espirazione sia resa efficace dalla risalita del diaframma nell’addome. Questo spostamento del bacino è accompagnato dall’azione dei muscoli addominali, anche se l’espirazione è un movimento più passivo che attivo.
La gola è molto importante per una respirazione naturale. Se non si espande con l’inspirazione è impossibile avere un respiro sufficientemente ampio. Per molte persone la gola è una cavità ristretta e poco elastica a causa delle tensioni nei muscoli del collo, tensioni che spesso sono connesse al trattenere le lacrime o le urla, o anche, semplicemente, le parole che abbiamo paura di dire. Per questa ragione molto spesso il piangere o l’urlare, oppure il singhiozzare lasciano poi una sensazione di maggiore libertà nel respiro.
Quando l’onda espiratoria raggiunge la pelvi, muovendola leggermente in avanti, si ha un rilassamento di tutto il corpo. In quel momento tutte le tensioni muscolari legati al trattenere hanno una pausa. E’ per questo che molte persone temono di espirare fino in fondo. Temono quel rilassamento dal trattenere che può far emergere ciò che è stato tenuto nascosto per così tanto tempo.
Una inspirazione insufficiente, una espirazione insufficiente
La condizione di una inspirazione insufficiente esprime spesso la difficoltà a raggiungere pienamente il mondo, una difficoltà che può materializzarsi con la sensazione della pienezza dell’inspirazione nella gola. Come se troppa aria potesse soffocarci. Ma il vero punto, in entrambe le situazioni – di una insufficiente inspirazione così come di una insufficiente espirazione – non è quello di modificare attivamente il nostro respiro ma piuttosto di prendere consapevolezza del punto in cui viene chiuso. Questo può iniziare a darci le basi per arrivare ad una prima ipotesi diagnostica.
Una espirazione insufficiente lascia il petto sempre un po’ espanso, come se ci fosse il timore di rimanere senza aria. La misura di questa insicurezza è strettamente legata alla quantità di aria di riserva che possiamo osservare. Quando le condizioni esterne, per esempio una maggiore attività muscolare, richiedono una migliore ossigenazione può avvenire una sorta di “imposizione respiratoria” che ci costringe ad aprire di più il respiro. Se esistono però delle condizioni di blocco – inspiratorio o espiratorio – avviene una “frattura” corporea che rende la respirazione paradossale. Ossia anziché respirare verso l’interno ed espirare verso l’esterno si inspira verso l’alto e si espira verso il basso con una espansione minima delle cavità respiratorie. Spesso questo avviene attraverso un ampio movimento delle costole e una rigidità sia superiore che inferiore.Per alcune persone questo significa che, malgrado un considerevole sforzo per espandere il torace, si ottiene poca aria in più perché l’espansione polmonare è ridotta dalle tensioni addominali e toraciche.
Una volta osservate queste modalità respiratorie iniziamo ad avere un quadro di quelle che sono le aree di blocco prevalente.
Possiamo così iniziare ad osservare un nuovo elemento che è strettamente legato alla respirazione ossia come avviene il radicamento a terra. Infatti, se c’è una contrazione del respiro ne consegue, fisiologicamente, anche una ritrazione del nostro grounding. Nel farlo anticiperò i termini propri della diagnosi caratteriale.
Il grounding, la diagnosi, il carattere
Per il carattere schizoide,visto che il senso di se è ridotto e si hanno forti fratture o scissioni sia corporee che di personalità, si può osservare un tenersi insieme spesso espresso con gesti che danno proprio l’idea di una necessità di stare insieme per non perdere pezzi. La gestualità può essere molto ridotta oppure estremamente scomposta. Quando c’è ipermotilità questa è dissociata dal contenuto emozionale, il corpo è teso ma il movimento è meccanico. Nella motilità ridotta possono esserci maggiori contenuti emotivi, l’ipotonia è legata ai muscoli superficiali mentre quelli profondi sono spastici, e le articolazioni sono congelate, in particolare quelle delle gambe, per evitare il contatto con il terreno. La sensazione generale, dal punto di vista energetico è quello di un sistema chiuso e frammentato che più che per radicarsi lavori per tenersi insieme. La respirazione è superficiale, corta, spesso con scarso movimento visibile.
Per il carattere orale l’elemento prevalente è il tenersi aggrappati: sembra assorbire forza ed energia dall’esterno e dalle sue persone di riferimento. Il sistema muscolare è poco sviluppato e scoordinato. Le gambe sono deboli e prive di tono, come la schiena che è spasticamente contratta per fornire supporto alle gambe. Spesso le ginocchia sono serrate. Gli occhi forniscono una specie di supporto ancorandosi agli altri e pendendo dalle loro labbra. La modalità prevalente rimanda ad un bambino bisognoso, in parte consapevole del proprio bisogno, che cerca ogni modo per tenersi su, meno quello naturale, ossia le proprie gambe. Spesso i piedi sono appiattiti e collassati come le pinne di un pesce. A volte, reattivamente, può essere agita l’illusione di poter fare tutto da soli proprio per non dover fare i conti con il bisogno degli altri.
Il carattere psicopatico/narcisista è invece tutto occupato dal dimostrare e dimostrarsi al di sopra degli altri, il sostegno viene ottenuto manipolando gli altri. La parte inferiore del corpo è trattenuta, il movimento energetico è tutto diretto verso gli altri e la grande paura è quella di sentirsi inermi, di cadere. Se prevalgono gli elementi di sopraffazione il torace sarà molto espanso, se invece prevalgono gli elementi seduttivi può esserci un’iperflessibilità.
Le gambe possono avere caratteristiche orali perché questo carattere presenta sempre anche elementi di oralità. Sono sottili e scariche, spesso le ginocchia sono iperestese o bloccate. Il tratto delle ginocchia bloccate, nella mia esperienza è anche espressione dell’orgoglio e di un atteggiamento in cui cedere è l’ultima cosa possibile.
Nel carattere masochista prevale il tenersi dentro, i muscoli sono forti e contratti, spesso danno al corpo una struttura tarchiata, il collo è incassato tra le spalle e può esserci quella che abbiamo definito precedentemente“gobba della vedova”. Le natiche sono appiattite, la coda tra le gambe è la caratteristica dominante di questa struttura che è solo apparentemente sottomessa. C’è una marcata rigidità degli arti inferiori e spesso i piedi hanno un arco molto accentuato con dita serrate. L’aspetto muscolare eccessivamente sviluppato ha proprio la funzione di trattenere gli impulsi negativi e quelli spontanei e quindi di trattenere la parte delle spalle, schiena, gola, braccia per quanto riguarda l’aggressività.
Spesso il grounding è influenzato dall’eccessivo sviluppo dei muscoli del polpaccio e dei muscoli frontali della coscia accompagnati dalla tensione nei tendini della parte posteriore. La situazione di ambivalenza qui è portata all’estremo, l’azione di sentimenti contrapposti è talmente forte che spesso conduce ad una vera e propria immobilità.
Il carattere rigido è caratterizzato da un tenersi indietro per la paura di venir respinto o ferito, l’energia però può raggiungere la periferia e quindi le mani e i piedi, la tensione può limitare l’espressione più che la carica energetica. Per Lowen si può parlare di corazza o armatura caratteriale vera e propria solo per questo carattere poiché gli altri, essendo pregenitali non hanno avuto accesso ad una carica energetica sufficiente. La rigidità tende ad aumentare sotto stress ed accentuare quindi l’elemento di testa alta e schiena dritta che lo caratterizza. La spasticità dei muscoli estensori e flessori si combinano per produrre la rigidità.
I movimenti primari e l’analisi del carattere
Una volta individuati questi movimenti primari possiamo iniziare a fare l’ultimo passaggio ossia definire qual è la diagnosi secondo l’analisi del carattere.
Andiamo cioè a disegnare una processo diagnostico in tre passaggi: prima guardiamo dove si interrompe il respiro, poi cosa comporta nel radicamento a terra. E infine quali sono i movimenti primari che definiscono complessivamente la persona: si tiene insieme (carattere schizoide), si aggrappa (carattere orale), tiene dentro (carattere masochista), si tiene al di sopra (carattere narcisista e psicopatico), si tira indietro (carattere rigido)?
In questo modo la diagnosi caratteriale arriva solo alla fine di un processo che è stato anche, insieme, terapeutico.
Non siamo solo un carattere
Come giustamente diceva Lowen, nella sua molto citata prolusione ad una conferenza internazionale “Back to basics” se definiamo le persone solo sulla base del loro carattere rischiamo di non comprendere la lro complessità. Qualunque diagnosi caratteriale quindi deve venire necessariamente dopo la comprensione del movimento primario emergente e delle emozioni dominanti che l’accompagnano.
A questo si aggiunge una ulteriore difficoltà. Ossia siccome le difese hanno tutte una base dissociativa, cosa accade se il paziente presenta un forte aspetto dissociativo con una diagnosi caratteriale che non coincide con il carattere schizoide?
È necessario essere consapevoli che i traumi – cumulativi o unici – quando superano la nostra finestra di tolleranza, possono portare ad una risposta dissociativa importante che richiede un trattamento clinico differenziale.
Una qualsiasi persona che si sia trovata a subire un trauma – trauma che può essere semplicemente anche un incidente – può sviluppare sintomi dissociativi anche senza che ci sia una diagnosi di carattere schizoide. E qui, anche se può sembrare strano, Reich e Lowen tornano ad incontrarsi. L’analisi del carattere va letta e trattata attraverso il linguaggio del corpo e il significato energetico che Lowen attribuiva ai processi psicologici. Il trauma invece necessita di un modello più vicino all’approccio reichiano, che tenga conto del funzionamento del sistema nervoso autonomo, dei processi corporei involontari.
Un buon analista bioenergetico ha quindi una doppia possibilità: utilizzare l’integrazione tra la diagnosi caratteriale e gli approcci corporei di lavoro sul trauma.
Una doppia ricchezza quindi che possiamo usare solo se impariamo a riconoscere i segnali e a costruire mappe diagnostiche che siano, come diceva Lowen, anche strumenti terapeutici.
© Nicoletta Cinotti 2015