Spesso mi capita di incontrare nelle persone una spinta, forte ed essenziale, verso qualcosa di più grande, di più ampio del proprio universo quotidiano.
Un desiderio di bellezza, forza e felicità che sembra realizzabile eppure ci sfugge. Dentro di me lo chiamo una sete di assoluto. Qualcosa che è di più della spinta a migliorarci, è più dell’avere orizzonti ampi. È davvero l’essenzialità dell’assoluto che cerchiamo e che sfugge, per realizzarsi, d’improvviso, in momenti di presenza. Momenti in cui tutto è come dovrebbe essere, semplicemente perché va bene così com’è.
Credo che questa sete di assoluto sia fondamentale: che sia quella che ci fa disegnare storie, progetti e sogni, che nemmeno noi sappiamo immaginare. Nessuno immagina quanto lontano possono andare le proprie creature. Kabat Zinn, nello scantinato dell’università del Massachusetts dove teneva i primi protocolli non poteva immaginare cosa sarebbe stata la mindfulness solo trent’anni dopo. Né Lowen poteva immaginare il perdurare e fiorire della bioenergetica negli ultimi sessant’anni.
Ecco tutto questo è spinto dal nostro desiderio di assoluto che si mischia alle nostre passioni quotidiane. A volte però lo trasformiamo in perfezionismo, in irritazione per ciò che sembra allontanarsi dal nostro sogno originario, in sottile disagio nel cogliere la realtà diversa da come ci aspettavamo. Temiamo che la nostra sete di assoluto non si realizzi e la misuriamo con un metro piccolo che elimina l’imprevedibile. Non copriamo il nostro desiderio con il perfezionismo. Lasciamo che abbia la forza del vento, il ritmo dell’onda, i colori delle stagioni. Lasciamo che stupisca anche noi stessi.
Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso. da Nella moltitudine di Wislawa Szymborska
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©Fabio Tode
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