
Tra poche settimane sarà Halloween, la festa che gioca con la nostra paura. In questo caso i bambini diventano, per una sera, piccoli mostri stregoneschi che hanno diritto a chiedere, dire e fare cose diverse dal solito. Per questo ho pensato di dedicare un approfondimento al tema della paura.
Il rapporto dei bambini con la paura
L’infanzia é il momento in cui ci sono più paure ed é anche il momento in cui impariamo a relazionarci, in generale, con questa emozione. Sarà capitato anche a te di provare un misto di spavento ed eccitazione nei confronti di qualcosa. Per molti bambini questa è una sfida: ho paura eppure faccio quella cosa, che mi spaventa e mi eccita insieme, per mettermi alla prova. Come impariamo a gestire le nostre paure da bambini ci dirà molto su come lo faremo da adulti. Se abbiamo imparato delle strategie disfunzionali é molto probabile che le nostre paure vadano ad alimentare l’ansia e la tendenza ad evitare le situazioni sfidanti. Quelle che potrebbero farci crescere ma che, mettendoci alla prova, noi evitiamo. Perché la paura è un’emozione che, anche fisicamente, ci fa rimpicciolire. Se immagini cosa fai quando hai paura il primo gesto spontaneo che emerge è il rattrappirsi, il ritirarsi. È proprio per questa ragione che la paura blocca la crescita dell’intimità e ci disconnette. A volte non solo dagli altri ma anche da noi
Tre paure fondamentali
La cosa più difficile con la paura è ammetterla. Ecco perché permettere ai bambini di “spaventare” gli altri può essere davvero importante . Ci vergogniamo di avere paura e facciamo moltissimo perché, una volta diventati adulti, gli altri non si accorgano delle nostre paure. La consideriamo, a torto, un sentimento infantile. In realtà è una delle emozioni di base: impossibile non provarla. La paura quindi ci fa ritirare e frammenta la nostra attenzione. Possiamo essere iper attenti oppure rimanere totalmente concentrati su quell’unica cosa che ci spaventa. Molto frequentemente viviamo una sorta di paura di base – sottile e persistente – che si posa sul nostro modo di vedere il mondo e lo rende un po’ più scuro e minaccioso
[box] Non mi piace avere paura: mi terrorizza. Woody Allen[/box]
In generale potremmo dire che sono tre le aree alle quali è connessa la nostra paura: la paura di perdere il controllo e quindi la sicurezza. La paura della solitudine e della disconnessione, che può essere percepita come paura di essere abbandonati o di morire. La paura di non essere degni.
La sicurezza fisica
La sicurezza è fondamentale per la nostra sopravvivenza tanto che il nostro sistema limbico è strutturato per cogliere i segnali di pericolo in modo automatico. Si attiva quando proviamo scomodità o dolore, anche in assenza di un pericolo vero e proprio. Molte delle nostre paure, infatti, sono immaginarie. Ossia sono attivate dalla nostra fantasia. Quel piccolo dolore al fianco diventa in breve tempo la paura di una colica renale e, dopo poco, di un cancro al rene. La verità è che c’è un piccolo dolore, la paura disegna un intero scenario. Anche se può sembrare ironico, la vera sicurezza nasce dalla possibilità di esplorare la nostra paura. Molto spesso le persone evitano di dare una dimensione reale a quello che sentono ma indugiano molto nella fantasia: una scelta che finisce per aumentare la paura e innesca un circolo vizioso. È molto connessa alla paura di perdere il controllo. Magari abbiamo avuto una giornata difficile, tutto sembrava andare storto e, arrivati a casa, non funziona il telecomando: scoppiamo come una bomba. Non è tanto per il telecomando ma per la somma della giornata. Inoltre, molto spesso, dietro la rabbia sta la paura. Strano vero? Molto spesso, quando ci arrabbiamo, è perché ci sentiamo impotenti: apparentemente mostriamo rabbia ma, dentro, abbiamo paura.
Passare dalla mente al cuore
È una pazzia credere di poterci rassicurare prima di tutto razionalmente. La razionalità, sulla paura, ha pochissima presa. Funziona solo in un clima affettivo rassicurante. La paura si calma nel cuore, non nella mente. Ogni volta che abbiamo paura è più sensato consolarci – praticando Metta, La meditazione del lago o Cullare il cuore – nel cuore che tranquillizzarci nella mente. Anche perché il cuore è molto più spazioso. Un altro vantaggio del consolarci con la pratica di mindfulness è che non evitiamo di stare da soli con noi stessi. Alla fine è con noi che dobbiamo vivere.
Spesso il problema, con la paura, è che ci aspettiamo che siano gli altri a togliercela. Questo diventa però un grande condizionamento della nostra vita sociale. Diventiamo dipendenti dalle relazioni che ci tranquillizzano. In termine tecnico si dice che abbiamo “una relazione contro-fobica”. Ossia con quella persona non proviamo paura: ecco proprio come se fossimo bambini. Quando parlo di passare dalla mente al cuore parlo proprio di imparare a confortarci, a darci quella sicurezza che calma la nostra ansia. Anche perché la rassicurazione che può arrivare dagli altri, per quanto importante, prima o poi finisce e arriva sempre il momento in cui dobbiamo consolarci. DA soli.
Ricevere attenzione e rassicurazione, inoltre, non significa ricevere intimità: la vera intimità nasce dal nostro personale riconoscere che stiamo fronteggiando una grande paura. Grande anche se irragionevole. Se fronteggiamo la nostra paura della solitudine possiamo scoprire che spesso è questa paura che sottrae intimità e libertà alle nostre relazioni.
La paura e il corpo: un po’ di bioenergetica finalmente!
Diverse paure, diversa la risposta del corpo. A volte la paura diventa una agitazione intestinale o allo stomaco, come se colpisse la parte dell’alimentazione. A volte diventa una tachicardia e una sensazione di freddo. Altre volte una tensione alle spalle e al collo. In ogni caso è impossibile che la paura lasci fuori il corpo.
Molte delle nostre tensioni muscolari nascono per ridurre la quantità di sensazione. Questo però produce un duplice effetto: sul momento può fermare l’impatto di ciò che sentiamo ma, nel lungo periodo, ha l’effetto contrario. È la contrazione stessa che alimenta la paura che proviamo. Per sciogliere la contrazione, in bioenergetica, non andiamo nella direzione del rilassamento ma della resa. Il famoso “arrendersi al corpo” di cui parla Lowen. Cosa vuol dire?
[box] Poiché la carica e la scarica funzionano come unità, la bioenergetica lavora simultaneamente su entrambi i membri dell’equazione per elevare il livello energetico, aprire la strada all’autoespressione e re-instaurare nel corpo il flusso delle sensazioni. Alexander Lowen[/box]
La differenza tra rilassamento e resa.
Il rilassamento è una condizione psicofisica che si può produrre intenzionalmente. Un muscolo teso può ammorbidirsi con l’acqua calda, un massaggio, un impacco, lo yoga, il pilates. Se però non lavoriamo sull’identità mente – corpo, dopo poche ore o giorni riprenderà la sua tensione. È abituato così e ritornerà così.La resa produce una risposta più profonda e diversa. Si aumenta, con il lavoro corporeo, la tensione nel corpo perché poi sia il corpo stesso ad arrendersi. A sciogliere, in profondità, la contrazione con una sensazione molto più simile al lasciar andare la presa che al rilassamento. Il rilassamento può farci sentire “molli”. La resa ci fa sentire presenti e vitali. Il rilassamento può farci scivolare nel torpore o nel sonno. La resa ci porta nella pace mente-corpo. Lo facciamo però, come dicevo prima, in modo paradossale: aumentando la carica attraverso la respirazione, il movimento e l’espressione. Tutti ingredienti da maneggiare con cura. Fare della bioenergetica su di sé e poi farla fare agli altri è come fare dei petardi in cucina. Ti va bene 100 volte ma quando scoppiano è un danno per tutto il condominio.
Questa situazione si genera perché gli esercizi di bioenergetica sono semplici. Non hanno nulla della difficoltà di certe posizioni di yoga ma lavorano su una materia molto esplosiva: quella della sensazione. È bello fare i fuochi artificiali e scoprire che è facile produrli da soli. Meglio però farli fare agli artificieri, soprattutto quando si parla di paura.
Ho fatto bioenergetica: ero stanco morto!
La resa, rispetto al rilassamento, ha un’altra differenza: ci mette in contatto profondo con i nostri limiti. A volte la nostra grandiosità ci spinge oltre. Questo fa sì che, malgrado siamo allenati, malgrado siamo degli sportivi, malgrado andiamo a correre tutti i giorni, possiamo chiudere una seduta di bioenergetica con una stanchezza atavica: abbiamo abbandonato la lotta contro noi stessi e contro la nostra verità e sentiamo quanta stanchezza questo ha comportato. Tranquilli perché, dopo qualche giorno o dopo qualche ora, la sensazione sarà opposta. Più vitali e sereni di prima.
[box] Questo approccio combinato – il funzionamento energetico attuale dell’individuo con la sua storia precedente – mette gradualmente a nudo le forze interiori (conflitti) che impediscono alla persona di funzionare con il proprio pieno potenziale energetico. Ogni volta che uno di questi conflitti interiori si risolve il livello dell’energia aumenta. Alexander Lowen[/box]
Le parole di Lowen chiariscono bene il perché della stanchezza: abbiamo toccato il conflitto interiore che stava dietro alla nostra emozione e la stiamo ri-equilibrando.
[box] Non voglio che si creda che la bioenergetica possa risolvere tutti i conflitti sepolti, rimuovere tutte le tensioni croniche e re-instaurare nel corpo di un individuo il fluire pieno e libero delle sensazioni. Può accadere che questo obiettivo non venga raggiunto fino in fondo: comunque si instaura un processo di crescita che porta in questa direzione. Alexander Lowen[/box]
Accettare la paura?
In questo senso mindfulness e bioenergetica percorrono la stessa strada contro-intuitiva: accettare la paura e, soprattutto, esplorare e accettare quello che ci fa paura. Quando esploriamo la paura, quando smettiamo di scappare per guardarla negli occhi facciamo un passo di accettazione. Possiamo respirare con le sensazioni della pancia, del cuore, delle spalle ed essere consapevoli dei pensieri che sorgono: i pensieri non sono fatti. Parlano dei nostri conflitti irrisolti, non della verità del momento presente. E ci conducono alla terza e più pervasiva paura: la paura della nostra inadeguatezza. La paura di non valere. La sensazione di non essere amabili e amati oppure di non essere abbastanza intelligenti. Molte delle nostre paure – oserei dire tutte – si accompagnano ad un giudizio di inadeguatezza. A volte ci svalutiamo perché diciamo che non dovremmo provarle. Altre volte perché diciamo che se fossimo bravi abbastanza non le avremmo. Ci sembra di essere gli unici al mondo ad avere paura. Ma questi giudizi nascono dai nostri conflitti interiori e li alimentiamo silenziosamente con le nostre risposte corporee.
Ecco perché la resa è così importante: anziché improvvisare qualche falsa sicurezza, anziché scappare come razzi, possiamo percorrere la strada di essere lì, proprio dove ci troviamo quando abbiamo paura. Mettere i piedi per terra e imparare a dare una risposta diversa: una risposta da vulnerabile guerriero.
La paura impedisce alla tenerezza fondamentale di entrare in noi. Quando una tenerezza colorata di malinconia tocca il nostro cuore, sappiamo di essere in contatto con la realtà. Lo sentiamo. Questo contatto è autentico, nuovo e molto diretto. Chogyam Trungpa
La prossima settimana continueremo il percorso sulla paura che sarà un’introduzione ad un nuovo progetto di Mindfulness e Bioenergetica: stay tuned!
© Nicoletta Cinotti 2017