
La distrazione è ostacolo o segnale, mi chiedeva tempo fa la partecipante ad un protocollo che lottava per avere una pratica con la mente sgombra da qualsiasi pensiero. Era convinta, la signora, che mindfulness volesse dire non pensare e che più la mente è vuota meglio è. A quel punto nel dialogo è intervenuta un’altra signora, lamentando che la sua mente è vuota come la nebbia, offuscata e baluginante come se su tutto si stendesse un velo bianco. Che le piacerebbe avere dei pensieri ma niente, come chiude gli occhi entra in un torpore ottundente che si posa su qualsiasi rumore interno ed esterno. Le due signore in questione si invidiavano a vicenda: una avrebbe voluto un po’ di silenzio e l’altra un po’ più di rumore e chiedevano a me, salomonicamente, un giudizio su quale delle due situazioni fosse più grave, con eventuali rimedi e terapie.
La tendenza a ragionare per patologie
Difficile non associare quello che sentiamo ad una qualche forma di strana e sconosciuta patologia. Se siamo ipocondriaci pensiamo che sia il prodromo di una malattia o il segno di un disturbo emotivo di varia gravità come se solo il silenzio fosse segno di salute. In realtà chi vive nel silenzio interiore se ne lamenta, giustamente, in modo altrettanto netto e doloroso. Quello che attira la nostra attenzione è, prima di tutto, un’informazione da esplorare con calma, curiosità e compassione. Compassione? argomentò la signora piuttosto risentita, non sono mica così bisognosa! L’idea che la compassione sia connessa al dolore è molto diffusa, in realtà la compassione non è solo questo.
Beh, chiunque può sopportare un dolore tranne chi ce l’ha.William Shakespeare, Tanto rumore per nulla
È anche la tenerezza che proviamo quando riusciamo a rimanere in intimità con noi, senza entrare nel giudizio o nella fuga. La compassione fa parte del sistema di accudimento ed è un’emozione lenta che permette alla nostra curiosità di andare in profondità. Ci aiuta a rallentare e rende la percezione più nitida e intima.
Reparenting significa riportare un senso di calma, curiosità, compassione, per ogni parte di noi e ascoltare cosa dicono sulle vie d’uscita!
Freni, muri e acceleratori
Tutta la pratica di mindfulness ci fa un invito, l’invito a prendere dimora nel nostro Sé per esplorare il panorama interno in un clima di accoglienza e spaziosità. Non siamo più identificati con le nostre parti, con le tante voci che parlano ma nemmeno neghiamo la loro esistenza a ci muoviamo come se fossero da spazzare via. Consideriamo tutte queste voci – quelli che di solito chiamiamo distrattori – come parti di noi che vogliono distoglierci dal dolore a qualsiasi costo.
I distrattori possono sembrare fastidiosi ma hanno una buona intenzione che si può riassumere in due funzioni essenziali: protezione ed esilio. Voglio tenere a bada, esiliandole, parti di noi portatrici di dolore e proteggerci dall’avvicinarci al dolore, convinte che questo sarebbe troppo per noi. Sono parti operose. La funzione protettiva è portata avanti in due modi principali, prima di tutto spostando l’attenzione altrove e poi, se nemmeno questo ha funzionato, entrano in azione le truppe d’assalto, i pompieri. Avete visto come fanno i pompieri a spegnare un incendio? Abbattono con forza e velocità, scavano linee frangifuoco e, in una parola, fanno parecchi danni a fin di bene. Anche noi abbiamo i nostri pompieri: sono i comportamenti di ipercompensazione. Quando mangiamo troppo, lavoriamo troppo, beviamo troppo, amiamo troppo sappiamo che i nostri pompieri sono in azione. Siamo contenti? Manco per niente. Prima li lasciamo fare e poi ci lamentiamo dei danni che hanno fatto. Risultato? Un bel conflitto interiore che, in termini tecnici, si chiama polarizzazione delle parti. Ulteriore risultato? Che mentre facciamo cose di cui poi ci pentiamo facciamo un passo avanti e due indietro e rimaniamo sempre allo stesso punto: lontani da noi.
Noi non apprezziamo il valore di ciò che abbiamo mentre lo godiamo; ma quando ci manca o lo abbiamo perduto, allora ne spremiamo il valore. William Shakespeare, Tanto rumore per nulla
Sulle parti esiliate
Sulle parti esiliate abbiamo pochi dubbi: meglio metterci una pietra sopra ma, come sappiamo, esiste la resurrezione dei morti e quindi anche quelle ogni tanto arrivano e contribuiscono ad aumentare la baraonda complessiva. Quando le parti esiliate prendono il sopravvento il dolore arriva fresco come il primo giorno e ci sembra che tutto il lavoro delle nostre protezioni non sia servito proprio a un bel niente. E, in effetti, è vero: tanto rumore per nulla direbbe il solito Shakespeare.
Il silenzio è l’araldo più perfetto della gioia: sarei ben poco felice se fossi capace di dire quanto. William Shakespeare, Tanto rumore per nulla
Venirne fuori
Come venire fuori da questo guazzabuglio? Come tornare al cuore delle cose, detto anche Sé? In genere facciamo dei piani che non tengono conto delle parti in causa. Come tenere conto di parti di noi che consideriamo sbagliate o infantili? Meglio decidere noi che dieta fare, che soluzione perseguire. Così partiamo armati delle nostre migliori intenzioni come se non avessimo altro da fare che mettere ordine nel loro disordine, perché noi, invece, senza di loro saremmo a posto. Peccato che le cose non stiano proprio così e che i nostri piani non siano altro che la voce più autoritaria in commercio in quel momento. Per questo abbiamo bisogno della spaziosità della pratica di mindfulness. Per invitare le nostre parti a darci la loro versione dei fatti e anche la loro via d’uscita. Non lo facciamo mai: decidiamo sempre noi e tutte le diete scelte così prima o poi falliscono perchè non tengono conto delle buone intenzioni delle nostre parti. La mindfulness non è una pratica autoritaria. Invitiamoci all’ascolto. Usiamo il silenzio per invitarci all’ascolto e allora, anche il torpore non sarà più necessario perché siamo disponibili ad ascoltare noi stessi e a far funzionare ogni parte in relazione con il Sé. Insomma siamo disponibili a tornare a casa.
Questo è quello che intendo per reparenting.
© Nicoletta Cinotti 2021