Ieri sono uscita per andare al cinema dopo aver passato praticamente due giorni – tra Natale e Santo Stefano – tra la cucina, la sala da pranzo e il salotto. Mi sentivo una specie di euforia da libertà che mi rendeva allegra e distratta. Arrivo in centro e trovo tutti i negozi aperti e un delirio di persone dentro i negozi. Decido di entrare per capire cosa sta succedendo.
Ho messo poco tempo a capire: era il giorno del cambio dei regali di Natale. Orde di persone con pacchetti da cambiare. Sono entrata in più negozi per capire se era una tendenza da grande magazzino o anche da boutique. Niente da fare: stessa scena.
Alla fine una commessa mi ha intercettata e le ho chiesto se non era strano che ci fosse tutto quel cambio di regali. Mi ha guardato come se fossi stata nell’iperspazio finora e avessi bisogno di una mappa di salvataggio. “Da Natale a Capodanno noi lavoriamo solo sul cambio dei regali” ha sentenziato con un’aria molto più psicologica della mia. In effetti, la fatidica domanda “Se non andasse bene lo può cambiare?”non è un’ipotesi: è una realtà!
Ecco, mi sono detta, non è possibile che siano tutti regali “doppi” che la persona già possiede: è una misura dell’intolleranza alla delusione, all’errore, all’insoddisfazione. Mi è sembrato un fenomeno ancora più pazzo dell’acquisto compulsivo che lo precede. Non giustificato da nessuna crisi se non dall’eterna crisi dell’insoddisfazione che ci fa sempre desiderare quello che non abbiamo ancora ricevuto. Così – ho pensato – saranno felici dopo aver cambiato il regalo o ancora più stressati per aver ripetuto più o meno la stessa coda che avevano fatto per acquistarlo? E se due regali si incontrassero nello stesso negozio?
Poi sono entrata al cinema e il film “Perfect Day” mi ha completamente assorbito con l’intensità dei panorami geografici e la brutalità della guerra nei Balcani. E una piccola scena che strappa il cuore: Nikola fa di tutto per recuperare il pallone rimasto nella distruzione della sua casa e della sua famiglia. E, appena ci riesce, lo vende. Per nobili ragioni ma lo vende, dicendo che, con i soldi si può tutto. Tranne, ovviamente, comprare la felicità e la soddisfazione.
È liberatorio (praticare) perché ci introduce a nuovi modi di confrontarci con noi stessi e col mondo esterno, liberandoci dalle modalità obbligate da cui ci facciamo spesso irretire. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: I suoni del silenzio
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©fenicesulmare
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