
A volte facciamo gli avversari. Lo facciamo quando qualcosa non funziona e lo vorremmo cambiare oppure quando ci sembra che sia avvenuta un’ingiustizia che richiede riparazione. Abbiamo una bella carriera da avversari, anzi per alcuni di noi essere avversari e lottare diventa quasi lo scopo della vita.
Però raramente funziona. Certo quando funziona ci sentiamo benissimo ma le energie che abbiamo impegnato per “vincere” questa battaglia raramente ci rendono felici e ci rimane sempre il dubbio che le cose sarebbero andate così anche senza il nostro avversare le situazioni. Non c’è solo un problema nell’essere avversari: molti bambini imparano il “no” come prima parola e attraversano una fase in cui il “no” è la risposta per tutte le cose. È utile per darci un senso di identità più strutturato ma non dimentichiamoci che la fase prima è stata tutto un “sì” fatto di sorrisi e gioia.
Insomma possiamo anche essere avversari ma ricordiamoci sempre che è solo una parte nella quale non essere troppo identificati perchè quando facciamo gli avversari la nostra consapevolezza diventa un imbuto che ha solo un bersaglio: quello contro cui lottiamo.
Ci perdiamo così la bellezza del panorama circostante.
Sono cresciuto cercando di avere l’aspetto di mio padre, il modo di parlare di mio padre, la postura di mio padre, le opinioni di mio padre, e il disprezzo di mia madre per mio padre». Ecco, c’era proprio tutto. Jules Feiffer
Pratica del giorno: Rabbia e paura
© Nicoletta Cinotti 2022