
Quando parliamo di mettere a fuoco possiamo pensare che la messa a fuoco riguardi l’esterno, che sia un processo simile alla fotografia e, in effetti, guardiamo proprio così, mettendo a fuoco l’oggetto che ci interessa. Nella pratica la messa a fuoco ha due qualità: la prima è scegliere un oggetto di attenzione e la seconda è rimanere con l’attenzione in modo sufficientemente stabile da poter entrare in intimità.
E intimità è proprio la parola giusta. È come se incontrassimo un amico e non ci accontentassimo di uno sguardo superficiale ma rimanessimo a parlare con questo amico più a lungo. Se manteniamo l’attenzione ed esploriamo vediamo più accuratamente e quello che percepiamo si svela e si trasforma. Possiamo accorgerci di quanto movimento c’è dentro di noi e gustare dell’apertura della consapevolezza che questo processo comporta. Diventiamo più consapevoli e più intimi con noi e con la nostra esperienza.
Questa intimità è promettente: ci rende meno identificati con quello che proviamo e permette di sentirci a casa, a prescindere dalle circostanze. Ci permette quella sensazione che, comunque vadano le cose, vanno bene perché siamo in buona compagnia: nella compagnia di noi stessi e, nello stesso tempo, siamo più che noi. Siamo uno spazio aperto di possibilità, in cui smettere di trattare crudelmente il nostro dolore, uno spazio in cui lasciar andare la crudeltà della distrazione o dell’indifferenza per sedersi in silenzio con noi.
Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio: temo che
il mio cuore mi salga alle labbra.
Ecco perché parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso. Federico Garcia Lorca
Pratica di mindfulness: La consapevolezza aperta
© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT